TEMU & SHEIN: demonizzare o risolvere
Il marketplace online TEMU e il distributore di fast-fashion SHEIN, entrambi cinesi, saranno formalmente accusati di aver venduto sulle loro piattaforme online prodotti pericolosi per la salute. Lo ha dichiarato la Commissione Europea lo scorso 5 febbraio annunciando un giro di vite contro l’ondata di importazioni a basso costo che avvengono per mezzo delle piattaforme e-commerce.
"In determinate condizioni, i marketplace possono anche essere ritenuti responsabili per la vendita di prodotti non conformi o pericolosi. Sono esentati dalla responsabilità per il comportamento illegale dei venditori, ma sono comunque soggetti a determinate regole", ha affermato la Commissione in una nota. A innescare l’intervento dell’esecutivo europeo sono stati i circa 4,6 miliardi di articoli di valore inferiore a 150 euro importati nell'UE lo scorso anno, pari a 12 milioni di pacchi al giorno, il 91% dei quali provenienti dalla Cina. Un volume doppio rispetto a quello del 2023! Questi prodotti, ha dichiarato la Commissione, non solo fanno concorrenza sleale ai produttori del tessile-moda europeo, ma sono anche dannosi per l’ambiente a causa della loro scarsa durevolezza, riutilizzabilità e riciclabilità.
Un pacchetto di azioni per contenere lo tsunami anti-ecologico
Le azioni di contrasto promosse dalla Commissione Europea sono molteplici. Innanzitutto la Commissione coordinerà un’indagine del Consumer Protection Cooperation Network, che è il coordinamento delle autorità nazionali responsabili della protezione dei consumatori.
Dopodiché la Commissione ha esortato gli Stati Membri ad adottare rapidamente la sua proposta di eliminare l'esenzione duty-free per i pacchi inferiori a 150 euro, come parte di una riforma delle norme doganali.
Inoltre, nel quadro di una nuova misura chiamata product safety sweep, i paesi dell'UE potranno utilizzare uno strumento di sorveglianza elettronica per verificare prima della spedizione se i prodotti sono pericolosi.
"Vogliamo arrivare a un settore dell'e-commerce competitivo che protegga i consumatori, offra prodotti convenienti e rispetti l'ambiente", ha affermato in un comunicato stampa la Vicepresidente Esecutiva della Commissione Europea Henna Virkkunnen.
Le misure della Commissione Europea riecheggiano un’analoga iniziativa adottata pochi giorni prima dal governo degli Stati Uniti, che ha messo fine all’esenzione doganale di cui si beneficiavano Temu e Shein per far entrare nel paese pacchi a basso costo.
TEMU, per ora non ha commentato le dichiarazioni della Commissione.
SHEIN ha invece dichiarato di aver preso atto della comunicazione dell'UE sull'e-commerce offrendosi di collaborare con il Consumer Protection Cooperation Network. Ha inoltre riferito di aver condotto “oltre due milioni di test sulla sicurezza dei prodotti nel 2024”, rafforzando il suo “impegno continuo nel garantire elevati standard di qualità dei prodotti e sicurezza dei consumatori” e di aver interrotto, nello stesso anno “il suo impegno con oltre 260 venditori sul suo marketplace che non soddisfacevano i requisiti di conformità”. SHEIN ha anche annunciato che nel 2025 investirà “oltre 15 milioni di dollari USA per rafforzare ulteriormente i suoi protocolli di conformità e test di sicurezza dei prodotti”.
Le accuse vanno cumulandosi
Lo scorso ottobre TEMU era già stata resa oggetto di un'indagine dell'UE ai sensi del Digital Services Act, per l’invio di prodotti illegali e non conformi agli standard di qualità europei, per la mancanza di trasparenza, e per l’utilizzo nella piattaforma di sistemi di ricompensa simili a quelli dei videogiochi, che possono creare dipendenza.
SHEIN è invece nella bufera negli Stati Uniti, perché accusata di utilizzare intelligenza artificiale e sistemi di monitoraggio elettronico per individuare e rubare nuovi modelli di design. Un metodo che è stato denominato scraping. Le opere poste in rete dai creativi verrebbero sistematicamente copiate, consentendo a SHEIN di porre sul mercato centinaia di migliaia di nuovi modelli che di sicuro non sono stati inventati dai propri stilisti. Negli Stati Uniti gli iter giudiziari contro SHEIN per l’utilizzo di questi sistemi algoritmici sono due, uno avviato nel 2023 e uno nel 2024. Ma secondo gli esperti il cammino degli iter giudiziari è in salita, perché le norme non sono ancora pienamente attrezzate per affrontare questi nuovi fenomeni. Secondo l’avvocato Fortune Brett Lewis, citato da Agendadigitale.eu “il modello di business è: se veniamo citati in giudizio, paghiamo, altrimenti continuiamo a fare così perché è redditizio”. Questo connubio tra “turbocapitalismo” e intelligenza artificiale consente, in estrema sintesi, di produrre una tale quantità di violazioni da intasare qualsiasi sistema sanzionatorio.
I bassi costi che contribuiscono in modo determinante al successo di SHEIN potrebbero essere dovuti, in buona parte, allo sfruttamento dei lavoratori. Questo afferma l’inchiesta Untold: Inside the Shein Machine mandata in onda nel 2022 dal canale TV britannico Channel 4. In un suo sunto di questa inchiesta, Repubblica riporta che, come dimostrato da un giornalista infiltratosi all’interno di due fabbriche che producono abiti e accessori per Shein a Guangzhou, “gli impiegati degli stabilimenti lavorano 17-18 ore al giorno, e hanno in media un giorno di riposo al mese (…). Il salario base è di 4,000 yuan mensili, circa 540 euro, anche se il primo stipendio è trattenuto dall’azienda. Ai lavoratori e alle lavoratrici è richiesta la produzione di cinquecento capi al giorno. In uno dei due stabilimenti, si viene pagati a pezzo prodotto: circa 40 centesimi l’uno. Ma se uno dei capi risulta fallato, vengono trattenuti al lavoratore due terzi della paga giornaliera. Le telecamere nascoste di Untold riprendono persino operaie che, per mancanza di tempo, si lavano i capelli in fabbrica durante la pausa pranzo (…) Naturalmente tutto questo viola le leggi cinesi, ma Shein è stato veloce a diramare una comunicazione in cui dichiara che si impegnerà ad indagare”. The Guardian, in relazione a questa vicenda, ha denunciato l’inadeguatezza dei sistemi di audit grazie ai quali i grandi marchi riescono a giustificare l’esistenza di filiere totalmente inadeguate. Per verificare il rispetto delle leggi e le condizioni dei lavoratori SHEIN si avvale di prestigiose agenzie di audit esterne; quando vengono rilevate irregolarità ai fornitori viene concesso un limite di tempo per rimediare, scaduto il quale Shein “prende provvedimenti”.
Demonizzare o risolvere?
“In Europa, come negli Stati Uniti, le accuse contro il fast fashion e l’ultra fast fashion si moltiplicano, e trovano moltissima evidenza nei mezzi di comunicazione” constata il patron di Leotron Alessandro Giuliani. “Queste accuse si fondano su problemi reali, su questo non c’è dubbio, e noi stessi in molti casi abbiamo voluto amplificarle e farle conoscere. Però per decifrare correttamente la situazione occorre essere pienamente coscienti del contesto. Dopo la fine dell’Accordo Multifibre nel 2005 sono cadute le barriere protezionistiche dei paesi OCSE nei confronti delle importazioni dei paesi emergenti, e nel quadro delle regole sul libero commercio del WTO, le industrie del tessile-moda dei cosiddetti paesi sviluppati, includendo quella italiana, hanno sofferto grandemente della competizione con i prodotti asiatici. Ed è normale che, in una situazione di conflitto, l’Europa cerchi di evidenziare i punti di debolezza dell’avversario. Ma non scordiamoci che noi europei continuiamo a riempire il mondo dei nostri rifiuti, e a sfruttare i lavoratori e le risorse naturali di mezzo mondo perché le nostre imprese facciano profitto. Gran parte dell’inquinamento globale è farina del nostro sacco, abbiamo un debito ecologico nei confronti del resto del mondo, e di certo non possiamo accusare asiatici, africani e latinoamericani di volersi sviluppare economicamente, anche mediante il posizionamento dei loro prodotti sul mercato globale. Questi fatti ovviamente non giustificano gli impatti ambientali e sociali generati dalle industrie dei paesi emergenti, ma dovrebbero farci riflettere in modo profondo sull’essenza del problema, al fine di trovare solide soluzioni. Lo scorso dicembre è stata la Cina stessa, come abbiamo riportato, forse unici in Italia, nel nostro blog, a chiedere ai governi del mondo di creare un meccanismo di cooperazione globale dove il ciclo della plastica, comprendendo quello dei vestiti a base poliestere, sia considerato come un tutt’uno, dalla progettazione e produzione fino al consumo e alla gestione del rifiuto, nel quadro di serie politiche di economia circolare, tracciabilità e trasparenza delle filiere. Un meccanismo che presuppone la collaborazione, e non lo scontro, tra i vari attori della filiera internazionale. La transizione verso modelli più sostenibili, infatti, richiede sacrifici da parte di tutti. E se si va avanti assieme in armonia, fare passi indietro in merito alle forme di produzione e consumo insostenibili diventa economicamente e politicamente fattibile. Tale collaborazione, ovviamente, è possibile solo in un contesto mondiale di pace”.