Moda secondhand e vintage: concorrenza al Fast fashion?
Quale sarà il futuro della moda? Tra 10 anni continueremo a inquinare e sprecare risorse senza alcun freno oppure sceglieremo un mercato più etico e sostenibile come quello del secondhand? Usato e vintage oggi vivono un periodo di grande ascesa grazie ai principi dell'economia circolare seguiti dai giovani consumatori attenti ai temi dell'ambiente e al portafogli. Inoltre, chi vende abbigliamento usato non punta più solo alla qualità: vuole essere un venditore 'glam'. Perciò seleziona attentamente, pulisce e vende a prezzi accessibili abiti e accessori alla moda che si abbinano a party e iniziative culturali e sociali. Stiamo assistendo quindi a una fetta di mercato che acquisisce un'identità forte e apprezzata ogni giorno di più. Se questa è la tendenza del momento, non abbiamo dubbi che possa esserlo anche in futuro. E se mettesse in crisi anche il mercato del fast fashion?
Fast fashion vs. Abbigliamento usato
Con l'espressione fast fashion, cioè "moda veloce", si fa riferimento a quelle aziende di abbigliamento che producono e vendono capi economici e alla moda, proponendone continuamente di nuovi. Realizzare una decina di collezioni all'anno (rispetto alle classiche "primavera-estate" e "autunno-inverno") fa sì che i ritmi di produzione di queste aziende siano sostenibili solo producendo in paesi come l'India, la Cina, la Cambogia o il Bangladesh dove il costo della manodopera è molto basso e spesso i lavoratori (anche bambini) sono sfruttati e costretti a lavorare in condizioni di mancata sicurezza.
Ogni anno vengono prodotti 80 miliardi di capi fast fashion, un dato allarmante soprattutto visto che secondo stime recenti elaborate dal Waste & Resources Action Program, il 30% degli abiti acquistati resta appeso negli armadi, mai indossato. Una percentuale equivalente poi finisce in discarica dopo essere stato utilizzato, in media, meno di cinque volte, ma spesso anche dopo un solo uso. In totale 14 milioni di tonnellate di abiti e tessuti usati sono gettati via ogni anno nel mondo, di cui solo il 16% viene riciclato (fonte: EPA - Environmental Protection Agency).
Questo mercato dagli altissimi costi ambientali e sociali, però, potrebbe avere un degno avversario: l'abbigliamento usato e vintage. Solo negli Stati Uniti, infatti, il business dell'abbigliamento usato vale 24 miliardi di dollari, con la strabiliante prospettiva di raggiungere i 64 miliardi nei prossimi 10 anni. Sono dati reali emersi dalla ricerca realizzata da GlobalData, società specializzata nell'analisi del settore retail, e diffusi da Cnbc. Un vero e proprio boom in questo settore. Perché?
Un'attenzione sempre maggiore all'ambiente
Da una parte sono cambiate le caratteristiche dello shopping di seconda mano: oggi acquistare abiti usati non significa rovistare in posti più o meno scalcinati, perché la percezione che abbiamo dell'usato si è trasformata. I mercatini sono diventati veri e propri negozi, la qualità è una priorità assoluta e l'usato è sinonimo di prima scelta per una questione di intelligenza e non di semplice risparmio. Dall'altra, i vestiti di seconda mano sono ricercati da una fascia di consumatori in forte crescita che sceglie questo mercato a favore dell'ambiente e dell'ecosostenibilità, una necessità sentita da un pubblico sempre più consapevole di quanto la moda sia dannosa per l'ambiente e la salute.
Il settore dell'abbigliamento, infatti, è tra i più inquinanti al mondo: dall'acquisizione delle materie prime, passando per la produzione, il trasporto e lo smaltimento del prodotto, l'impatto ambientale del fast fashion è molto alto. Secondo il Fashion Danish Institute, un quarto di tutte le sostanze chimiche prodotte nel mondo sono utilizzate nel settore tessile per realizzare il poliestere e le altre fibre sintetiche, che dal 2007 sono diventate le più diffuse (62%) per l'abbigliamento.
La produzione di queste fibre sintetiche causa l'emissione nell'atmosfera di particelle e gas come CO2, ossido di diazoto, idrocarburi, ossidi di zolfo e altri sottoprodotti. Inoltre, gli impianti di produzione spesso rilasciano composti e solventi che inquinano i locali corsi d'acqua. Non va meglio per il cotone: per coltivarlo vengono utilizzati più pesticidi che per ogni altra coltura al mondo, mettendo a rischio la salute dei lavoratori e la salubrità di acque e terreni.
Abbigliamento usato = consumi più sostenibili
Per fortuna il tema della sostenibilità e dell'economia circolare è sempre più centrale nel settore della moda, sia per una maggiore attenzione dei produttori sia per una accresciuta consapevolezza da parte dei consumatori più giovani. È possibile cambiare l'industria tessile semplicemente modificando il modo in cui consideriamo i nostri vestiti.
Dobbiamo imparare a essere scrupolosi, a leggere le etichette, a fare attenzione ai materiali di cui sono fatti i nostri abiti, a ragionare sulla loro provenienza, ad assicurarci che i diritti dei lavoratori siano rispettati. Preferire la produzione locale, ricorrere a tessuti non tossici, incentivare il riutilizzo e imparare a rinunciare al superfluo sono tutte strade percorribili. In particolare, comprare abbigliamento usato è una scelta sostenibile che porta con sé due grandi vantaggi:
1. L'abbigliamento usato è stato lavato numerose volte e quindi avrà meno sostanze nocive nelle fibre dei suoi tessuti.
2. Acquistare un capo usato vuol dire rimetterlo in circolo, evitando che finisca in discarica troppo presto.
Abbiamo visto prima quali danni provoca la continua produzione di abbigliamento, e sappiamo benissimo quanti vestiti usati sono a disposizione ogni giorno in tutto il mondo. E allora perché non fare una scelta che unisce l'ecologia alla salute?
L'usato supererà il mercato della fast-fashion?
La crescita dell'usato è così forte da creare preoccupazione in alcuni brand come Zara e H&M, che rischiano di venire superati dal business dell'usato. I dati della ricerca condotta da GlobalData sono impressionanti se si pensa che l'insieme dei marchi fast-fashion ha realizzato nel 2018 ricavi pari a 35 miliardi di dollari e nel 2028 non andrà oltre i 44 miliardi.
Fra 10 anni, afferma il report, nel guardaroba delle donne americane il 13% dei vestiti sarà di seconda mano, rispetto all'attuale 6%. A farne le spese non saranno solo Zara e H&M, ma anche marchi noti che si collocano in una fascia mediana di prezzo, come ad esempio Gap, che oggi rappresentano circa il 20% del guardaroba medio, e che scenderanno al 14%. Scenderà anche la percentuale di vestiti comprati nei grandi magazzini, che fra 10 anni non rappresenteranno più del 9% del guardaroba medio, contro l'attuale 14%.
"Se confrontato con l'andamento complessivo del mercato dell'abbigliamento, la crescita dell'usato si sta rivelando fenomenale, con i consumatori che trovano ciò che più li soddisfa non solo per varietà, qualità e prezzo, ma anche per la sostenibilità dell'acquisto", dice Neil Sanders, direttore generale di GlobalData.
In Italia e nel mondo anche i grandi marchi puntano all'usato
STATI UNITI. Per combattere il grande problema dei rifiuti del settore della moda e promuovere il riciclo e il riuso dei capi di abbigliamento, quest'anno a New York è stata lanciata la campagna #WearNext che si è svolta dal 4 marzo al 9 giugno. La campagna ha fatto parte dell'iniziativa Make fashion circular della Ellen MacArthur Foundation, tra le più importanti istituzioni per la promozione e lo sviluppo dell'economia circolare, e vede la partecipazione di marchi di moda, enti pubblici, collezionisti e aziende. L'obiettivo è dare nuova vita ai vecchi vestiti salvandoli dalla discarica di New York, che ogni anno viene invasa da oltre novanta milioni di chili di abiti.
FRANCIA. Galeries Lafayette, lo storico grande magazzino francese, ha annunciato il lancio di Le Good Dressing, un sito di vendita di abbigliamento di seconda mano, creato in partnership con la startup Place2Swap. L'obiettivo, si legge su fonti di stampa internazionale riportate da Pambianco, è quello di ritagliarsi spazio in un mercato, quello del resale francese, dominato da Vinted in France, sito da 1,5 milioni di utenti unici al giorno.
ITALIA. Ma anche in Italia l'usato è sempre più cool: a Milano lo store di Silvan Heach è stato trasformato in uno dei temporary market di vintage più cool della città con party e feste durati un weekend. A Roma, nel quartiere storico dell'Esquilino, lo store SiTenne organizza book sharing, serate a tema legate all'arte, agli shooting, con musica dal vivo e presentazione di libri, oltre a party dedicati all'astrologia che richiamano folle di gente dai 20 ai 60 anni di età. Se questa è la tendenza del momento, non abbiamo dubbi che possa esserlo anche in futuro.
"Noi non compriamo l'usato in blocchi, come invece viene fatto nei negozi e nei mercati dell'usato. - spiega Alberta Spezzaferro, consulente vintage e personal shopper dello store SiTenne - Selezioniamo solo abiti di qualità e con una storia da raccontare. Si possono acquistare oppure affittare, così da non riempire più gli armadi di casa e sostenere l'economica circolare. Il nostro è un vintage sartoriale anche legato alla storia del costume e della moda, in particolare quella italiana. Scegliamo ad esempio splendidi tessuti a faglie, che si producevano solo in Italia fino agli anni sessanta su basi di seta, raso con inserti in velluto. La qualità era elevatissima. Abbiamo molti clienti giovanissimi che arrivano anche dal Giappone, dalla Cina e dalla Korea. Sono sopratutto studenti universitari che cercano borse originali degli anni 40 e 50. Sono loro il fashion del futuro".
La fast fashion viene considerata un processo di democratizzazione della moda, un fenomeno economico che ha permesso a tutti di vestirsi bene seguendo le ultime tendenze. Tuttavia, è un sistema che a lungo andare non potrà che portare danni irreversibili per la nostra salute e soprattutto per l'ambiente. Per fortuna i numeri parlano chiaro, il futuro della moda sarà secondhand.