Temu, lo shopping online troppo bello per essere vero
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Temu, lo shopping online troppo bello per essere vero

Martedì 31 Ottobre 2023
Eleonora Truzzi

Ti sarà certamente capitato, navigando su Facebook o Instagram, di veder apparire una pubblicità che ti proponeva l’acquisto di uno zaino da trekking a zero euro.

Follia? Un tentativo di truffa? È ciò che hanno pensato tutti la prima volta che hanno visto una pubblicità di Temu. Ma poi, continuando a vederle, visitando il sito web indicato nella pubblicità, abbiamo scoperto che è realtà.

Temu, quello che è stato definito il “concorrente di Shein”, ha calcato fin dal primo giorno con un marketing aggressivo sull’ultra fast fashion, invitando i nuovi utenti a provare i prodotti gratis e i clienti già acquisiti a continuare a comprare scatole e scatole di merce a pochi euro.

Ma se qualcosa costa poco, chi è che realmente sta pagando? Da qualche parte, anche se dall’esterno parrebbe non essere così, qualcuno paga sempre.

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Cos’è Temu?

Dopo aver tanto parlato del business della moda fast fashion costruito da Shein, è ora di capire meglio cos’è Temu.

Temu è un'app di shopping online che è stata lanciata negli Stati Uniti a settembre 2022 ed è arrivata in Italia nella primavera 2023. È stata sviluppata da PDD Holdings con sede a Boston, la società cinese proprietaria di Pinduoduo, una delle più grandi piattaforme di e-commerce cinese al mondo.

Nello shop sono presenti 12 categorie di prodotto ben fornite e in un certo senso l’obiettivo di Temu, con tale vastità di assortimento, è stato chiaramente quello di fare concorrenza a Shein. Lo dimostra anche il fatto che la società ha citato la stessa Shein in giudizio con l’accusa di aver assoldato influencer per fare false dichiarazioni online.

Come il suo predecessore, anche Temu ha puntato su prezzi stracciati e sulla possibilità data agli utenti di “shop like a billionaire”, come dice il suo claim: “acquistare come un miliardario”.




Chi paga alla fine?

Dietro a quella maglietta che costa meno di una colazione al bar, chi è che sta realmente pagando?

Come ha dimostrato anche il caso Shein in precedenza, prodotti che hanno un costo così basso solitamente vengono realizzati in paesi in via di sviluppo, dove la manodopera è spesso sfruttata. I lavoratori sono costretti a lavorare in condizioni pericolose e a salari miseri, perché sono gli unici che accettano tali compromessi. Il crollo del Rana Plaza rimarrà sempre un esempio per tutti.

Per lo stesso principio, anche la produzione stessa ha un impatto ambientale significativo. I materiali utilizzati, affinché costino il meno possibile, spesso provengono da fonti non sostenibili e la produzione genera una grande quantità di rifiuti, oltre che di emissioni nocive nell’atmosfera.

Inoltre, nel caso specifico, come possiamo leggere su Il Fatto Quotidiano, Temu è stata accusata pubblicamente sui social media di rubare i dati dei suoi clienti. Secondo la testimonianza dell’influencer @ellebibikini in un video Tik Tok che è diventato virale, la società le avrebbe clonato la carta e l’avrebbe utilizzata per fare shopping e pagare viaggi. In effetti, dall’analisi realizzata dalla società Grizzly Research, pare che Temu contenga uno spyware che raccoglie i dati degli acquirenti per inviarli poi in Cina.

È quindi lecito chiedersi se i prezzi a zero o un euro non siano altro che specchietti per le allodole, ossia una strategia di marketing che fa leva sulla capacità della mente umana di focalizzarsi sui benefici a breve termine piuttosto che su quelli a lungo termine. Quanto vale quell’euro pagato in termini di risorse e di ambiente?

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La normalizzazione dell’eccesso

Chi ha definito Temu una "concorrente di Shein" non ha certamente errato, riconoscendo senza dubbio delle similitudini tra le due piattaforme. Tuttavia, questa affermazione non rende giustizia alla complessa relazione che esiste tra queste due realtà, e non solo queste.

Da un lato, è innegabile che Temu condivida con Shein la missione di fornire abbigliamento a prezzi accessibili. Entrambe le piattaforme si sono affermate come leader nel settore dell'abbigliamento economico, offrendo una vasta gamma di prodotti a prezzi che sfidano la concorrenza. In questo senso, possono essere viste come concorrenti dirette, poiché cercano entrambe di catturare la stessa fetta di mercato: consumatori alla ricerca di abiti convenienti e alla moda.

Dall'altro lato però, è importante notare che Temu non è semplicemente una "concorrente" di Shein. Piuttosto, le due piattaforme condividono un obiettivo comune, quello di normalizzare un fenomeno che, preso singolarmente, rappresenterebbe l’eccezione.

Quando qualcosa diventa la norma, è più difficile vederne i problemi. Se una maglietta costa un euro su tot piattaforme diverse, è più facile pensare che sia normale così. Questo può portare a una diminuzione della consapevolezza dei problemi legati alla produzione dei prodotti, perché “è così che funziona”.




La campagna dei social media

Ancor più preoccupante, come con il caso di Shein, è il fatto che non mancano gli haul video di influencer della Gen Z che spingono il proprio pubblico ad acquistare ininterrottamente con "tutto a un euro" oppure "100 pacchi da Temu".

Questi haul video sono spesso realizzati con l'intento di mostrare quanto sia facile e divertente fare shopping su queste app. Gli influencer mostrano una grande quantità di prodotti, spesso a prezzi molto bassi. Ciò può creare un senso di eccitazione e desiderio negli spettatori, che possono essere indotti a comprare senza pensarci troppo.

Inoltre, le offerte e i regali offerti da Temu possono essere molto allettanti. Un codice sconto del 90% o un robot aspirapolvere in regalo posso sembrare occasioni troppo vantaggiose per essere vere. Ciò induce le persone a comprare di più di quanto farebbero normalmente.

Conoscere queste strategie di marketing è importante per fare acquisti più consapevoli e orientarsi verso soluzioni green. Non soltanto le aziende che si impegnano nella sostenibilità dei propri processi produttivi, ma anche soluzioni che conciliano sia il rispetto per l’ambiente sia l’economicità, come il second hand.

Le alternative ci sono, ci sono sempre state e continueranno a esserci. L’importante è evitare gli specchietti per le allodole che, luccicando, attraggono verso l’inganno.

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