Riutilizzo: definizione, normative ed esempi pratici
Il Riutilizzo, popolarmente anche chiamato “riuso”, è secondo la definizione di legge europea ed italiana “qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti”: un modo un po’ contorto ma concettualmente molto preciso per indicare che un oggetto preso così com’è passa di mano in mano, dall’utilizzatore originario a un nuovo utilizzatore. In Italia e all’estero il Riutilizzo è praticato soprattutto dagli operatori dell’usato, e a livello commerciale coincide con la cosiddetta second-hand economy. Il Riutilizzo ovviamente è molto diffuso anche sotto forma di dono, che può avvenire in modo diretto (ad esempio tra membri della stessa famiglia) oppure con l’intermediazione di associazioni ed enti caritatevoli che destinano gli oggetti a persone indigenti. Vengono invece definite Preparazione per il Riutilizzo “le operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento”. L’effetto finale di Riutilizzo e Preparazione per il Riutilizzo è esattamente lo stesso: un oggetto che aveva un proprietario è destinato a un nuovo proprietario che continuerà a utilizzarlo, ma nel caso del Riutilizzo ciò avviene senza chiamare in causa il sistema di raccolta e recupero dei rifiuti; nel caso della Preparazione per il Riutilizzo, invece, siamo pienamente nel sistema rifiuti e in tutte le regole ad esso correlate. Non è possibile affermare che il Riutilizzo sia migliore della Preparazione per il Riutilizzo o viceversa: semplicemente si tratta di due modi diversi di canalizzare e gestire il flusso degli oggetti usati; il Riutilizzo è più semplice ed opportuno quando esiste un rapporto diretto tra chi cede il bene usato e l’operatore dell’usato che lo immette sul mercato, mentre la Preparazione per il Riutilizzo è necessaria quando i cittadini/consumatori si disfanno di beni usati in blocco; di fatti, grazie alle operazioni di selezione realizzate dagli impianti di Preparazione per il Riutilizzo, che sono a tutti gli effetti impianti di trattamento dei rifiuti, è possibile distinguere ciò che realmente riutilizzabile da ciò che non lo è, destinando ogni singolo bene alla destinazione più appropriata ed evitando gestioni improprie che potrebbero danneggiare l’ambiente.
Riutilizzo e Preparazione per il Riutilizzo sono in cima alla “gerarchia dei rifiuti” imposta dalla norma ambientale europea ed italiana, questo significa che le istituzioni e gli organismi che sono responsabili di applicare le politiche ambientali dovrebbero privilegiare queste opzioni rispetto a quelle di riciclaggio e smaltimento, perché gli impatti ambientali sono decisamente minori. Grazie ai 3000 negozi dell’usato conto terzi attivi in Italia (come, ad esempio, quelli di Mercatopoli e BABYBAZAR) è possibile compiere un Riutilizzo di tipo vicinale, a chilometri zero o quasi; ISPRA, braccio scientifico del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ha dichiarato alla Commissione Europea che nel 2022 i negozi conto terzi italiani hanno avviato a Riutilizzo oltre 232.000 tonnellate di beni. In Italia esistono anche decine di migliaia di operatori ambulanti che commercializzano a distanze contenute i beni riusabili intercettati durante le operazioni di sgombero locali; anni fa Rete ONU (associazione di categoria degli operatori dell’usato) ha stimato il volume del loro Riutilizzo in 150.000 tonnellate annue, e attualmente sta lavorando assieme ad ISPRA all’aggiornamento di questa stima. Il settore del Riutilizzo, a livello nazionale, dà lavoro a circa 100.000 addetti.
Però non tutte le qualità sono adatte a un Riutilizzo di tipo locale e nazionale, e per massimizzare i volumi di Riutilizzo è necessario rivolgersi anche a mercati che sono geograficamente distanti. Ciò accade soprattutto con gli abiti usati conferiti nei contenitori stradali e poi preparati per il riutilizzo negli impianti di trattamento dei rifiuti tessili, ma le filiere internazionali si stanno sviluppando anche per altre frazioni come i mobili e gli elettrodomestici. Nel caso degli abiti usati, come ha dimostrato Il centro di ricerca danese Norion Consult in una ricerca del 2023, il Riutilizzo continua ad essere l’opzione ambientalmente più conveniente anche quando implica migliaia di chilometri di trasporto navale; le altre opzioni in campo comportano di fatti processi industriali o di smaltimento che impattano molto di più sull’ecosistema.
L’esportazione di abiti usati è stata comunque ripetutamente messa in discussione, negli ultimi anni, a causa del susseguirsi di inchieste giornalistiche o compiute da associazioni ecologiste che documentano lo smaltimento improprio di parte degli stock inviati in Africa e in Cile; di conseguenza, in ambito europeo, si sta ragionando sull’opportunità di vietare o limitare l’esportazione di abiti usati ai paesi che non aderiscono all’OCSE. ISWA, l’associazione che riunisce gli accademici specializzati sulla gestione dei rifiuti, ha dedicato nel 2024 due workshop dedicati a questo tema, in occasione dei quali tutti i dettagli del problema sono stati analizzati e sviscerati. Tra le soluzioni possibili ci sono il cosiddetto UPR (Ultimate Producer Responsibility), che vincolerebbe i consorzi di produttori che organizzano il recupero dei rifiuti a sostenere e monitorare le operazioni di Riutilizzo e Riciclaggio che avvengono nei paesi importatori, e l’applicazione di procedure di qualità che mettano direttamente in contatto gli impianti di selezione in Europa con i consumatori finali africani e degli altri paesi extra-OCSE.