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Reach, Detox e Riuso: una partita che nessuno vuole perdere

Martedì 18 Gennaio 2022

Gianni Perbellini

Presidente Associazione Ambientalista Mondo da Ri-usare

"Un lungo viaggio di mille miglia si comincia col muovere un piede." LAO TSE

E' davvero un lungo viaggio quello che ci apprestiamo a fare, cercando di comprendere tra i meandri della normativa REACH, dei regolamenti e delle guida, nazionali ed Europei, che dal 2006 regolano la protezione dei rischi, per la salute umana, derivanti dall'utilizzo di sostanze chimiche, quali scenari si potrebbero prospettare per gli operatori dell'usato.

In effetti la moltitudine di norme, regolamenti, interpretazioni e pubblicazioni, piuttosto che portare chiarezza e delineare percorsi di attuazione comprensibili, generano una moltitudine di complessità e talvolta delle vere e proprie complicazioni.

E' di tutta evidenza che il superiore interesse di salvaguardare la vita umana, la natura, le biodiversità ed in generale il mondo che ci circonda, ci impone di regolamentare in maniera adeguata l'utilizzo delle sostanze chimiche presenti nei prodotti che acquistiamo e che utilizziamo per evitare che possano risultare dannosi o tossici per le persone e per l'ambiente.

regolamento-reach

L'Europa, sin dal 2006 con il regolamento REACH, ha affrontato il problema della gestione delle sostanze chimiche con una normazione via via crescente e, certamente, tra i più avanzati al mondo e, pur tuttavia, il biomonitoraggio umano annota in maniera crescente la presenza nei tessuti corporei e nel sangue pesticidi, metalli pesanti tegola, farmaci, e non solo.

Da qui l'importanza, da un lato, di identificare, testare, normare e informare il consumatore delle componenti chimiche insite nei prodotti che acquista o utilizza e, d'altro canto, formarlo ed educarlo ad un corretto utilizzo degli stessi nel proprio personale interesse e, più in generale, di quello collettivo.

In quest'ottica la normativa predisposta impone al produttore di identificare ed etichettare i propri prodotti indicando le componenti chimiche e le quantità utilizzate nel confezionamento del prodotto, di indicare i sistemi di utilizzo e di prevedere la gestione del fine vita del prodotto stesso.

Fin qui tutto bene, però...

Il rischio è che ora, nel 2022, la norma sulla tossicità dei prodotti implichi un obbligo di etichettatura con indicazione delle componenti chimiche anche per i prodotti che sono frutto del recupero di rifiuti, allargando le sue maglie, addirittura, a quelle operazioni di preparazione per il riutilizzo che non prevedono alcuna modifica del "rifiuto", quali lo stoccaggio, la selezione e la cessione del prodotto senza lavorazione. Un tale scenario, eccessivo e difficile da comprendere, sarebbe di sicuro devastante sarebbe devastante per tutta l'economia del Second Hand che muove, solo in Italia, un giro d'affari di oltre 30 miliardi di Euro e impiega decine di migliaia di lavoratori.

All'origine di questa linea di indirizzo, a mio avviso, c'è la pressione sugli organismi governativi nazionali ed Europei, delle major tra le associazioni ambientaliste, Greenpeace e WWF in testa, che nell'intento di richiedere sempre maggiori tutele per la platea dei loro followers e dei consumatori in genere e nell'intento di alzare i livelli di salvaguardia, non esitano a spingere per ottenere standard informativi sul prodotto sempre più stringenti sino ad arrivare, talvolta ad prese di posizione, a mio avviso, fondamentaliste e carenti di logiche motivazioni.




Per meglio illustrare la questione è necessario fare un passo indietro e ricordare al lettore che la mission della normativa Reach prevede che, nel realizzare il primario obbiettivo della salvaguardia del benessere umano mediante la riduzione, il controllo, la formazione e l'informazione sui prodotti con possibili effetti, Cancerogeni, Mutageni e Tossici per la salute dei consumatori, ci sia il pieno coinvolgimento e la responsabilità dei produttori Europei e dei commercializzatori, all'interno del Mercato Europeo dei prodotti extra UE, nell'individuare, segnalare ed etichettare i prodotti stessi indicandone le componenti chimiche. L'obbiettivo comprimario era quello di individuare sistemi di sperimentazione che riducessero al minimo la sperimentazione animale per incentivare maggiormente la ricerca scientifica in laboratorio ed evitare fenomeni massicci di vivisezione.

Nell'ambito dell'accelerazione chiesta, in particolare da Greenpeace e WWF, l'ipotesi di ricorso alla sperimentazione animale si è fatto più pressante per le industrie e ciò ha causato il sollevamento degli animalisti che parlano di milioni di animali sacrificati alla ricerca sperimentale.

Ora il rischio latente e forse incombente è che, per dar riscontro all'opinione pubblica e non inimicarsi il consenso degli ambientalisti e degli animalisti, gli organismi governativi possano considerare di emanare norme o direttive talmente stringenti e cogenti per il settore del riuso e del riutilizzo che lo possa portare all'asfissia.

"Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla." Diceva M. L. King

E allora, per evitare di essere sommersi da norme irrispettabili e devastanti, le organizzazioni degli operatori dell'usato e le loro organizzazioni associative e sindacali devono far sentire la loro voce e portare nelle opportune sedi, ma anche all'opinione pubblica le loro ragioni che sono si di carattere economico e occupazionale, ma lo sono anche di più dal punto di vista ambientalistico e sociale.

Infatti se è vero che una grande parte dei prodotti che abitano il vasto mondo del riuso non rispettano sempre e in pieno i dettami di etichettatura delle normative reach, per ragioni di vetustà, non dobbiamo trascurare il fatto che le componenti chimiche insite in quei prodotti hanno perdutonella maggioranza dei casi la loro eventuale originaria pericolosità, vuoi per effetto della volatilità della stessa, vuoi per il fatto di aver subito, in corso di vita, molti lavaggi e molte disinfezioni, che ne hanno pressoché neutralizzato ogni tossicità!

..e poi cosa ne sarebbe, da un punto di vista economico, sociale e ambientale se tutta questa enorme quantità di beni dovesse essere avviata a smaltimento? Quanti fumi, quante polveri ?.anche tossiche.. quanta CO2? andremmo a produrre.



Credo, davvero che la soluzione a questo dilemma transiti attraverso logiche di buon senso e si possa pensare, semel in anno, di non andare a caccia di mosche con il cannone.

Meglio concentrarsi sulla messa a regime del regolamento nella forma in cui erastato inizialmente concepito, ossia riconoscendo che i processi di selezione e stoccaggio dei prodotti, anche proveniente da processi qualificabili come rifiuti senza l'intervento di lavorazioni, non fosse da ritenersi soggetto ad alcun intervento di etichettatura..

Mi chiedo quindi se, piuttosto che bloccare l'economia circolare, non convenga accelerare lo sviluppo di tecniche accertative sulla pericolosità dei prodotti chimici, degli oggetti e materiali evitando alla radice, e per quanto più possibile, il massacro di cavie animali?

Io la penso così, ma è una questione di

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