Pratiche ESG, le conseguenze delle dichiarazioni non veritiere
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Pratiche ESG, conseguenze delle dichiarazioni non veritiere

Giovedì 22 Febbraio 2024

Redazionale

La comunicazione su ecologia e responsabilità sociale è diventata una cosa seria: chi mente per fare marketing non avrà più vita facile come una volta. L’Avv. Carlotta Campeis spiega i rischi di questo tipo di comportamento.

Articolo apparso a gennaio su Oltreilgreen24, newsletter di approfondimento realizzata dal Gruppo Safe in collaborazione con il Sole24ore. Si ringrazia il Gruppo Safe per la gentile concessione

Di Carlotta Campeis

pratiche-esg

Il concetto di responsabilità sociale, inteso come il risultato del comportamento societario - etico, trasparente e sostenibile - sulla società e sull’ambiente, porta necessariamente con sé anche quello della responsabilità in capo agli amministratori per la corretta rappresentazione e concreta attuazione delle pratiche Esg.

Il perseguimento della sostenibilità deve essere, dunque, sostanziale , permeando l’intera attività societaria, sia quanto allo scopo sociale ed alle scelte strategiche, che sotto il profilo organizzativo, per poi essere rappresentato correttamente nei bilanci sociali o in altri documenti, oltre che nei rapporti con banche e finanziatori e con fornitori e partner.

Pur a fronte di una normativa ancora in evoluzione (da ultimo con la direttiva CSRD), certamente condivisi, per la redazione dei bilanci di sostenibilità e della dichiarazione non finanziaria, sono i requisiti di completezza informativa, rappresentazione chiara e veritiera, imparzialità, attendibilità e comprensibilità.




La responsabilità di garantire che la comunicazione sia redatta in conformità agli standard nazionali ed europei, compete agli amministratori che devono agire secondo criteri di professionalità e diligenza, salvo successivo controllo da parte del revisore legale. Il d.lgs. n. 254/2016, tutt’oggi in vigore (benché di prossima modifica per il recepimento della direttiva CSRD) prevede, pur a fronte di un’ampia discrezionalità nella scelta dei criteri, una sanzione (amministrativa) pecuniaria per il mancato rispetto degli obblighi di legge e per l’omessa divulgazione di informazioni materiali e non corretta rappresentazione delle informazioni.

Al di là della specifica disposizione, ed in attesa di eventuali ulteriori inserimenti normativi, la falsa rappresentazione delle politiche ESG soggiace alle sanzioni, anche penali, già esistenti. Certamente applicabile è l’ipotesi di frode in commercio (515 c.p.) che sanziona la messa in commercio di prodotti con informazioni ingannevoli, distorte o incomplete o comunque di prodotti diversi da quelli presentati, con conseguenze ex d.lgs. 231/2001 anche in capo alle imprese. Altresì rilevante risulta la truffa (ex 640 c.p.) qualora siano utilizzati dati non veri, sia nella conclusione di contratti, che a fondamento di richieste di finanziamenti o erogazioni. Tema più complesso e ancora oggetto di discussione è quello della configurabilità del delitto di false comunicazioni sociali (art. 2621 e 2622 c.c.) e della sua applicabilità alla reportistica non finanziaria.

Va premesso che per la sussistenza del reato devono sussistere i due requisiti di materialità e di rilevanza, prevedendo la norma la rilevanza penale solo in casi tassativi di esposizione di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero o di omissione di fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società. Il carattere tassativo della norma collima con le previsioni, seppur maggiormente dettagliate, ancora generali e programmatiche previste nella nuova direttiva. Finché, dunque, non ci saranno indicazioni omogenee, specifiche e vincolanti degli standard richiesti, difficilmente si potrà giungere ad un rimprovero così specifico come quello del falso in bilancio.

Va, infine considerato che, oltre alla rendicontazione formale, la comunicazione di buone condotte Esg può essere veicolata anche in altri modi: forme di dialogo con i diversi stakeholder, certificazioni e adesioni a iniziative internazionali, pubblicità di valore sociale o ancora mediante politiche indirizzate al territorio e alla comunità.




Sotto questo aspetto opera il c.d. greenwashing (“ambientalismo di facciata”), che riguarda il fenomeno secondo cui vengono utilizzate politiche di marketing eco-friendly per ottenere un ritorno, anche e soprattutto reputazionale, in maniera ingannevole e dunque senza la vera attuazione delle politiche Esg.

Tali condotte sono sanzionate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato come pratiche commerciali scorrette e concorrenza sleale, e soggiacciono ai tradizionali rimedi civilistici in tema di annullabilità dei contratti e risarcimento del danno.

In conclusione, il monito è quello di approcciare alla materia con serio impegno dell’impresa, valorizzando le buone pratiche già esistenti e ponendosi obiettivi raggiungibili che vengano poi correttamente rappresentati nei documenti contabili o nelle varie attività imprenditoriali.

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