L’usato non paga l’EPR. Intervista a Flavio Tosi
Articolo apparso ad aprile su Oltreilgreen24, newsletter di approfondimento realizzata da Safe-Hub delle Economie Circolari in collaborazione con il Sole24ore. Si ringrazia Safe-Hub delle Economie Circolari per la gentile concessione.
Novità in vista per il settore tessile. Lo scorso febbraio, a quasi due anni dalla pubblicazione della proposta della Commissione Europea, il Parlamento Europeo ha approvato il testo finale della proposta di modifica della direttiva quadro 98/2008, il quale include, tra i suoi assi portanti, l’introduzione obbligatoria di un regime di Responsabilità Estesa del Produttore del Tessile in ognuno degli Stati Membri. Il voto della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo si è concluso con 70 voti a favore, 4 contrari e 9 astenuti. Il testo è stato poi approvato il 19 marzo dal Comitato dei Rappresentanti Permanenti del Consiglio Europeo. Si è quindi concluso con successo il negoziato di trilogo tra le istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio Europeo), e perché la modifica della Direttiva entri in vigore manca solo il voto in seduta plenaria del Parlamento Europeo, che è stato programmato per quest’estate.
Ogni Stato membro definirà il proprio modello di EPR, ma tenendo conto di alcuni orientamenti generali. I produttori e le loro organizzazioni collettive (“PRO”) saranno tenuti a coprire i costi delle filiere del riutilizzo e del recupero e a lavorare in sinergia con gli altri stakeholder, a partire dalle amministrazioni pubbliche locali.
A essere determinante nella definizione dell’accordo finale è stata la posizione del Partito Popolare Europeo (PPE), che oggi in Europa è il principale partito di maggioranza. Il relatore nominato dal PPE per seguire il percorso di modifica della direttiva europea sui rifiuti è l’On. Flavio Tosi, veronese, esponente di Forza Italia.
La redazione di Oltre il Green 24 lo ha intervistato.
Parliamo di tessile circolare. È soddisfatto dell'accordo raggiunto tra Parlamento e Consiglio?
Sì, il risultato ottenuto nei negoziati è positivo. Siamo riusciti a mantenere una posizione equilibrata, che coniuga sostenibilità e realismo economico. L'introduzione della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) per il tessile è un passo avanti nella gestione responsabile dei rifiuti, e siamo riusciti a dare delle indicazioni per non gravare eccessivamente sulle imprese, soprattutto le micro e piccole.
L’obiettivo di questo accordo è porre le basi per una migliore gestione e riduzione dei rifiuti tessili. L’EPR incentiverà il miglioramento della raccolta, selezione e riciclo dei tessili, riducendo la dispersione di rifiuti e favorendo un mercato più circolare. Il nostro impegno è stato quello di garantire che questi cambiamenti siano attuabili per le imprese europee, evitando misure troppo rigide, soprattutto nella fase iniziale, che avrebbero potuto avere effetti controproducenti sulla competitività del settore.
Il suo gruppo quali modifiche ha richiesto rispetto al testo base?
Uno dei punti chiave è stata la tutela delle microimprese, che volevano far parte dei sistemi EPR per accedere a infrastrutture e dati, ma senza essere appesantite da oneri sproporzionati. Abbiamo ottenuto un ingresso graduale, semplificazioni burocratiche e contributi proporzionati alla capacità produttiva.
Un altro elemento centrale del lavoro che ho portato avanti come relatore per il Gruppo PPE ha riguardato i negozi di seconda mano, che erano stati inclusi nella proposta del Consiglio tra i soggetti obbligati alla contribuzione dell’EPR. Abbiamo voluto riconoscere il loro ruolo nella promozione di sistemi circolari che non generano rifiuti, bensì riducono la produzione allungando il ciclo di vita dei capi, pertanto abbiamo chiesto e ottenuto la loro esclusione dagli obblighi, affinché il riuso continui a essere incentivato.
Sul fronte delle politiche di sostenibilità, abbiamo preferito un approccio pragmatico, che premi le aziende virtuose senza gravare l’industria europea di vincoli eccessivi. Anche sul fast fashion, il nostro obiettivo è stato quello di evitare misure che avrebbero portato a una frammentazione di regole nei vari Stati Membri e trovare soluzioni attuabili, introducendo strumenti flessibili per orientare il mercato verso modelli più sostenibili.
Abbiamo quindi lavorato per una regolamentazione efficace, ma bilanciata, capace di stimolare l’innovazione senza penalizzare le imprese che già operano responsabilmente in Europa.
Nelle sue dichiarazioni spesso enfatizza la necessità di integrare le politiche ambientali con quelle economiche, evitando gli approcci ideologici. Nel caso del tessile circolare come si possono coniugare questi due aspetti?
L’economia circolare non può essere vista solo come una questione ambientale: è anche un’opportunità per innovare i modelli produttivi, creare nuovi posti di lavoro e rafforzare la competitività delle nostre imprese. Il settore tessile europeo ha già dimostrato di sapersi adattare ai cambiamenti e di investire in tecnologie più sostenibili, ma per accelerare questa transizione servono strumenti che incentivino l’innovazione senza imporre costi insostenibili.
Per questo motivo, abbiamo lavorato per creare condizioni favorevoli alla ricerca e allo sviluppo di nuovi materiali, processi di riciclo avanzati e modelli di business basati anche sul riuso e sulla riparabilità. In Europa abbiamo aziende leader nella produzione di tessili di qualità e capaci di competere sul mercato globale, basti pensare al nostro Made in Italy, ma per sostenerle bisogna accompagnare la transizione con politiche industriali adeguate.
Un altro elemento fondamentale è il ruolo del consumatore. La circolarità non si realizza solo a livello produttivo, ma anche attraverso una maggiore consapevolezza nelle scelte di acquisto e un accesso più semplice a sistemi di raccolta e riciclo efficienti, che abbiamo voluto rafforzare chiedendo maggiore disponibilità di infrastrutture negli Stati Membri. Se vogliamo che il mercato si orienti verso la sostenibilità, dobbiamo lavorare su tutta la filiera, dal design del prodotto fino alla gestione del fine vita, garantendo soluzioni praticabili per aziende e cittadini.
Le importazioni di ultra fast fashion in Europa crescono in modo esponenziale. I provvedimenti su EPR, ecomodulazione ed Ecodesign saranno sufficienti per contrastare il fenomeno?
Il fenomeno dell’ultra fast fashion è una sfida complessa, che va affrontata con un mix di strumenti normativi, economici e di mercato. L’Europa sta facendo passi avanti con misure come l’EPR, che responsabilizza i produttori sulla gestione del fine vita dei capi, e con l’introduzione di criteri di Ecodesign, per migliorare la qualità e la durabilità dei tessuti. Tuttavia, queste misure da sole non basteranno se non si interviene anche sul fronte delle importazioni, dove il vero problema è rappresentato da prodotti a bassissimo costo, realizzati con standard ambientali e sociali spesso molto lontani da quelli europei.
Per rendere il mercato più equilibrato servono regole chiare sulla trasparenza delle filiere, controlli più efficaci sugli ingressi nell’Unione e una maggiore sensibilizzazione dei consumatori. Non possiamo chiedere alle imprese europee di investire in sostenibilità se poi permettiamo la vendita indiscriminata di prodotti realizzati senza alcun rispetto per l’ambiente o per i diritti dei lavoratori. È su questo squilibrio che bisogna intervenire, affinché le aziende che scelgono la strada della qualità e della circolarità non si trovino svantaggiate rispetto a chi produce senza vincoli.
L’obiettivo non è bloccare la concorrenza, ma garantire condizioni eque per tutti, evitando che il costo della transizione ricada solo sulle imprese europee. Se vogliamo un settore tessile più sostenibile, dobbiamo affrontare il problema nella sua interezza, guardando non solo a come produciamo, ma anche a cosa entra nel nostro mercato.
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