Mattaranetta: il non profit innovativo
Redazionale
A Verona Mattaranetta è una cooperativa sociale storica, alla quale ormai da 50 anni i veronesi fanno riferimento per donare e comprare oggetti usati di ogni genere. La storia della cooperativa sorge dall’esperienza del movimento Emmaus, il cui modello universalmente conosciuto si basa sul coinvolgimento di soggetti deboli in attività di sgombero locali e rivendita degli oggetti raccolti presso botteghe rigattiere di stampo solidale. Oggi Mattaranetta continua a sgomberare locali e a rivendere abiti usati, ma i negozi sono diventati due e alle attività di sgombero sono stati integrati, mano mano, servizi di gestione dei rifiuti. Abbiamo intervistato il Presidente Jan Paeshuyse e l’esponente storico della cooperativa Aldo Barbini.
Partiamo con una domanda complicata: l’Italia, in linea con gli orientamenti europei, ha fissato obiettivi di recupero del 55% dei rifiuti prodotti entro il 2025 e del 65% entro il 2035. Tra le opzioni di recupero possibili, la legge indica la preparazione per il riutilizzo come prioritaria. Voi come vi state attrezzando di fronte a queste sfide?
Barbini: abbiamo chiesto alla Provincia di Verona delucidazioni per far autorizzare un impianto di preparazione per il riutilizzo e loro ci hanno risposto: siete matti! Tutti cercano di schivare il regime di rifiuto e voi ci volete entrare! Il problema, con la preparazione per il riutilizzo, è che ancora non esistono norme e procedure formali che rendano possibili le autorizzazioni. Inoltre non ci sono obiettivi specifici per questa opzione, e finché sarà agganciata all’obiettivo globale di recupero è difficile che le aziende di igiene urbana puntino in questa direzione. E quindi per ora in Italia i risultati di preparazione per il riutilizzo sono irrilevanti, quasi inesistenti. Allo stato attuale noi continuiamo a puntare non sulla preparazione per il riutilizzo ma sul riutilizzo, che è un’operazione di riduzione dei rifiuti alla quale la gerarchia di legge dà priorità assoluta, al di sopra di qualsiasi operazione di recupero dei rifiuti. Anche per la riduzione sarebbe importante che l’Europa e il governo italiano fissino degli obiettivi quantitativi specifici, altrimenti tutto continua a rimanere nell’ambito delle apparenze e del marketing: qualcosa che le aziende di igiene urbana e i Comuni fanno perché è buono far vedere che lo fanno ma senza intenzioni serie, senza preoccuparsi di sviluppare competenze o fare pianificazione.
Qual è attualmente il vostro modello di riutilizzo?
Paeshuyse: è un modello autonomo ed originale, che abbiamo costruito in base alla nostra esperienza operativa e commerciale e agli stimoli che da sempre arrivano dalla popolazione veronese. Come altre cooperative sociali, il nostro lavoro di riutilizzo si basa sullo sgombero locali e sulle donazioni che arrivano direttamente dalle persone. Queste ultime sono aumentate moltissimo da quando, nel 2005, l’azienda di igiene urbana, su nostro input, ha realizzato a fianco della nostra struttura il secondo centro di raccolta comunale dei rifiuti urbani. E quindi molti degli utenti del centro di raccolta, prima di disfarsi delle loro cose, si fermano da noi e ci lasciano i beni in migliori condizioni, quelli che hanno una chance di essere rivenduti. Un altro flusso importante di riutilizzo fa capo al nuovo negozio che abbiamo aperto otto anni fa, che è organizzato in modo completamente diverso, che non ha l’apparenza di una bottega rigattiera ma si caratterizza per l’ordine e la pulizia con i quali gli oggetti vengono esposti. A differenza del nostro spazio di vendita originario, e a differenza dei negozi dell’usato conto terzi che fa intermediazione, nel nuovo negozio noi acquistiamo merci usate, sia singolarmente che all’ingrosso, e poi le rivendiamo.
Quindi, diciamo, avete avuto la capacità di uscire dalla vostra zona comfort e virare verso modelli più innovativi
Barbini: comfort è una parola grossa! Il nostro spazio originario non è di certo comodo: ha difetti strutturali ed è impossibile da riscaldare. Però è vero che cerchiamo costantemente di rinnovarci. Abbiamo ad esempio iniziato un percorso di formazione con Alessandro Giuliani, il CEO di Leotron, che ci sta dando preziosi consigli per migliorare l’area marketing. Ma senza dubbio, innovarsi non è semplicissimo. Senza dubbio il lavoro tradizionale del riutilizzo andrà integrandosi sempre di più nelle politiche ambientali e noi, così come nel marketing, stiamo maturando competenze anche su quel fronte. Ma diventare specialisti di tutto non è semplice! Neanche Mandrake riuscirebbe a riunire tutte le competenze che in questo momento ci vengono sollecitate. Noi siamo già specialisti di reinserimento dei soggetti deboli, ci occupiamo di patologie mentali e di disagio sociale. Siamo poi diventati bravi a sgomberare locali e stiamo facendo di tutto per essere eccellenti venditori. Probabilmente prima o poi dovremo scegliere e concentrarci su un singolo ambito.
Ma le evoluzioni normative e di mercato, in questo settore, chiedono una maggiore integrazione tra aspetti diversi...
Barbini: Nessuno lo nega, ma l’integrazione non significa necessariamente fare tutto da soli. Il nostro sogno è che l’amministrazione comunale promuova un grande hub cittadino che ospiti attività di riutilizzo e di riparazione, prodotti alla spina, generi alimentari a chilometro zeri, sportelli per i rifugiati e le ragazze madri. Uno snodo territoriale per la sostenibilità ambientale e sociale, che permetta di unire le forze. Noi non pretendiamo di essere leader di questo percorso, ci va benissimo essere uno fra tanti partner e contribuire con il nostro pezzetto. Siamo aperti a lavorare con tutti, non solo con il non profit ma anche con il profit, bisogna fare sistema.e
Profit e non profit, poco a poco, potrebbero assomigliarsi sempre di più. Il non profit, non solo in Italia, si sta progressivamente professionalizzando. Dall’altro lato, il profit comincia in modo sempre più deciso a incorporare elementi di responsabilità sociale ed ambientale. E’ l’avvento dell’economia a marginalità zero di cui parla l’economista Jeremy Rifkin? Profit e non profit convergono verso un medesimo modello dove l’attività economica sarà reincastonata con gli obiettivi di utilità collettiva?
Sicuramente l’evoluzione normativa va in questa direzione. Con la riforma del terzo settore le cooperative sociali diventano imprese sociali, e ai soggetti profit è concesso di trasformarsi in società benefit. In questa tendenza io vedo luci e ombre. Profit e non profit hanno identità e obiettivi molto diversi, non è scontato ricondurli a un unico modello. Oggi ci sono realtà profit che si approcciano ai temi della sostenibilità in modo genuino, ma molte altre che fanno “greenwashing” e “social washing” riducendo questi temi a una questione di immagine. Ma è anche vero che sull’altro versante, quello del non profit, esistono realtà torbide quanto i peggiori player del profit.
Come se ne esce?
Non va sottovalutato il ruolo dell’istituzione pubblica, che a prescindere da chi governa è il soggetto che incarna gli interessi collettivi, e il ruolo dei consumatori che, sia pure non rappresentati da corpi intermedi, con i loro acquisti sono in grado di orientare il mercato inducendo le imprese, sociali e non, a migliorare le loro politiche.