Il difficile cammino dell’Europa verso la sostenibilità
Redazionale
Lo scorso Maggio l’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, ha pubblicato una relazione di monitoraggio sui progressi compiuti dalla UE verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS). Questi ultimi sono 17 e sono stati adottati nel settembre 2015 dalle Nazioni Unite nel contesto dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Eurostat afferma che negli ultimi cinque anni l'UE ha compiuto progressi per quanto riguarda la maggior parte degli obiettivi, in linea con le priorità della Commissione in settori strategici fondamentali quali il Green Deal europeo, la strategia digitale europea e il piano d'azione sul pilastro europeo dei diritti sociali. I progressi sono stati più rapidi in relazione ad alcuni obiettivi rispetto ad altri, mentre solo in pochi settori specifici si è riscontrato un allontanamento dagli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Tra gli ambiti dove l‘Europa dichiara maggiori progressi ci sono la riduzione della violenza, la fiducia nella giustizia, l’innovazione e il minor ricorso a fonti di energia inquinanti (ma i dati positivi relativi a questo obiettivo includono il 2020 e dipendono in buona parte dalla paralisi economica causata dal lockdown; Eurostat ammette che, con ogni probabilità, negli anni a venire l’uso dei combustibili fossili tornerà a superare l’80% del totale). L’Europa registra anche un significativo progresso verso la riduzione della povertà: ma in questo specifico caso, specifica Eurostat, i dati sono precedenti al 2020 e non tengono conto della crisi economica conseguita alla pandemia...
Sugli altri obiettivi, includendo la riduzione delle emissioni inquinanti e l’adozione di modelli sostenibili di produzione e consumo, l’Unione Europea dichiara un generico “progresso”. L’unico ambito dove gli indicatori adottati mostrano apertamente una tendenza negativa, ossia di regresso, è la protezione dell’ecosistema terrestre: nel continente la biodiversità continua a diminuire nonostante un discreto aumento delle superfici forestali.
Per quanto riguarda il contrasto al cambiamento climatico, che è il fronte più importante per la salvezza del pianeta, Christian Odendahl e John Springford del Centre European Reform (CER) hanno dichiarato che gli sforzi dell’Europa non sono sufficienti, e che per raggiungere l’obiettivo di ridurre del 46% le emissioni serra entro il 2030 servirebbe il triplo degli investimenti nel campo della riconversione ecologica. Questo immenso extra-sforzo, hanno dichiarato gli esponenti di CER, potrebbe arrivare in conseguenza all’interruzione dei rifornimenti di energia fossile da parte della Russia. Secondo Odendahl e Springford “i policy-makers europei dovrebbero usare questa crisi per triplicare i dividendi che gli investimenti verdi possono generare: rendere l’Europa meno dipendente dall’energia russa, aiuterebbe a combattere l’inflazione e a ridurre le emissioni europee di carbone. Associando questo con un triplicamento dei finanziamenti derivanti dall’erario pubblico, l’Europa potrebbe fare un altro grande passo in avanti”. Dal canto suo, la Fondazione Europea per l’Ambiente ha dichiarato che è l’obiettivo stesso ad essere insufficiente: perché si imbocchi una traiettoria che renda plausibile arrivare a emissioni zero entro il 2050, la riduzione da ottenere il 2030 non dovrebbe ammontare al 46% ma almeno al 55%. C’è poi un’altra grave questione di fondo: l’Europa riduce le proprie emissioni anche (e forse soprattutto) in seguito alla delocalizzazione della propria industria in zone del mondo dove le emissioni inquinanti sono in netto aumento e non soggette a politiche pubbliche di contenimento, e questo risulta, in termini globali, a un aggravamento del fenomeno del surriscaldamento e non a una sua riduzione.
Forti dubbi sono stati sollevati anche in merito alla cosiddetta “economia circolare”, definizione che oggi include le politiche di prevenzione, riutilizzo e riciclo dei materiali post-consumo. Maurizio Pallante, noto esponente del movimento per la “decrescita felice”, ha fatto notare che con la retorica sull’economia circolare “si alimenta l’illusione che, se si riutilizzano i materiali contenuti negli oggetti dismessi nell’anno precedente per rifornire la produzione dell’anno successivo, si possa avviare una sorta di moto produttivo perpetuo, continuando a produrre ogni anno di più e a programmare l’obsolescenza degli oggetti senza aggravare la crisi ecologica”. “In realtà”, afferma Pallante “se il prodotto interno lordo cresce, com’è previsto dal modo di produzione industriale, i materiali recuperati dagli oggetti dismessi nell’anno precedente, anche se venissero riutilizzati al 100% non basterebbero a sostenere la crescita della produzione dell’anno seguente. Inoltre il riciclo richiede un consumo energetico. Pertanto il consumo di risorse crescerebbe. Meno di quanto se non si facesse nulla, ma crescerebbe. E la crisi ecologica si aggraverebbe. Per contribuire a ricondurre il consumo delle risorse nei limiti della sostenibilità ambientale, l’economia circolare deve essere inserita in un progetto complessivo di riduzione degli sprechi e dei consumi, anche con un’apposita normativa contro l’obsolescenza programmata. Se non si imposta in questo modo, la proposta dell’economia circolare si riduce a un alibi ambientalista. Lo dimostra il fatto che nel 2021 l’indice di circolarità nei Paesi dell’Unione europea è stato dell’8,6 %. Il 91,4% dei materiali contenuti negli oggetti dismessi non è stato riutilizzato”.