EPR tessile, la nuova proposta UE
Luca Cesaro - Rete Nice
Il 5 luglio, come un fulmine a ciel sereno, la Commissione Europea ha pubblicato una proposta di emendamento alla direttiva europea dei rifiuti (98/2008) che, se approvata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo, avrà effetti radicali sul settore del recupero dei rifiuti e anche, nello specifico, su quello del recupero dei tessili, includendo raccoglitori, selezionatori, canali della seconda mano, riciclatori e smaltitori. La proposta, che era in preparazione da oltre un anno ed era oggetto di ampie consultazioni tra gli stakeholder, è stata pubblicata con una tempistica che anticipa di poco la prevista emanazione del decreto del Ministero dell’Ambiente italiano sull’EPR tessile; il Ministero italiano, non potendo non tenerne conto, dovrà con ogni probabilità rallentare o sospendere i propri lavori in attesa dei verdetti finali del Parlamento e del Consiglio Europeo.
In questo articolo ci concentreremo sul tessile, riportando in primo luogo i contenuti del memorandum che è alla base delle politiche proposte; tale memorandum unisce in un’unica narrazione gli spunti ed elementi derivanti dagli studi dei centri di ricerca di riferimento della Commissione e gli input arrivati dalle lobby settoriali più attive a Bruxelles. Con Rete Nice abbiamo elaborato alcuni dei dati chiave per renderli più fruibili (vedere i grafici e le tabelle che seguono). Dopodiché sintetizzeremo i risultati della consultazione degli stakeholder operata dalla Commissione e illustreremo i punti chiave della proposta. I nostri commenti, molto parchi, li concentreremo al finale.
IL MEMORANDUM
La Commissione Europea giustifica la sua proposta a partire da un esauriente memorandum, che interseca numeri e dati oggettivi con valutazioni, commenti e considerazioni. Il primo dato chiave, fondamentale, è la presa d’atto che, nonostante già dal 2008 la direttiva europea segnali che la prevenzione è una priorità, la produzione di rifiuti nell’Unione continua ad aumentare, e i tessili contribuiscono in modo significativo a questo pessimo trend a causa del fenomeno chiamato fast fashion. Nel 2019, dice la Commissione citando i dati di una ricerca in corso curata da Joint Research Center (JRC), sono state generate 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, delle quali quasi 11 di post-consumo (abbigliamento e scarpe, tessili per la casa, tessili tecnici).
Fonte: dati JRC elaborati da Rete Nice
Tra i rifiuti post-consumo, il 48% (12 kg ad abitante) sono capi di abbigliamento e scarpe, e il resto (53%, 13 kg ad abitante) sono tessili per la casa e tessili tecnici.
Fonte: dati JRC elaborati da Rete Nice
Fonte: dati JRC elaborati da Rete Nice
Del post-consumo, che costituisce la parte preponderante del flusso, solo il 22% viene raccolto in modo differenziato, mentre il resto è conferito nelle raccolte domestiche indifferenziate ed è smaltito mediante discarica o incenerimento. Da qui la prima considerazione, molto ovvia, del memorandum della Commissione: l’attuale gestione del rifiuto tessile non rispetta la gerarchia dei rifiuti stabilita dalla norma europea, che impone il recupero come priorità rispetto a qualsiasi forma di smaltimento.
La seconda considerazione, è che gran parte dell’impatto ambientale della filiera di produzione del tessile consumato in Europa è generato oltre i confini europei, e che anche per quanto riguarda il rifiuto post-consumo, tale impatto è in parte significativa dirottato fuori dall’Europa. Senza fornire, nel contesto di questo memorandum, specifici dati d’appoggio che aiutino a dimensionare o circoscrivere il fenomeno, la Commissione afferma tout court che l’esportazione fuori dall’Europa del post-consumo genera “gravi danni ambientali e sociali”. In particolare, viene segnalato il fenomeno degli stock di abbigliamento usato che in realtà contengono rifiuti che vengono smaltiti illecitamente nel luogo di destinazione.
A livello europeo, afferma la Commissione, il 58% del rifiuto post-consumo raccolto in modo differenziato, dopo trattamento o prima del trattamento, viene esportato a canali di riuso e riciclo che si trovano oltre i confini dell’Unione, mentre il resto viene recuperato all’interno di questi confini.Gli impianti di selezione extracomunitari, ad esempio quelli tunisini, in questo conteggio non vengono presi in considerazione, e allo smaltimento, facendo la differenza, viene attribuito circa un 2% del totale.
La terza considerazione fatta dalla Commissione Europea è che oggi né i costi del recupero (che per l’abbigliamento vengono stimati in 12 centesimi di euro per il singolo pezzo) né quelli dello smaltimento sono internalizzati nel prezzo al consumo dei beni tessili. Ma senza alcun dubbio, puntualizza la Commissione, tali costi possono variare di molto dipendendo dalle caratteristiche dei prodotti. Quelli costituiti da fibre miste e che includono bottoni e zip, ad esempio, sono più difficili da riciclare rispetto a quelli monofibra o privi di accessori, come le magliette, e pertanto costano di più.
Infine la Commissione, basandosi sulle dichiarazioni degli Stati membri, riporta che il settore europeo a livello impiantistico e infrastrutturale non è assolutamente pronto per raccogliere la sfida rappresentata dall’obbligo di differenziare il rifiuto tessile, che subentrerà il primo gennaio del 2025 (l’Italia ha anticipato le scadenze europee introducendo l’obbligo già il primo gennaio del 2022).
A rendere più complicata la situazione, conclude la Commissione, sono la frammentazione delle definizioni e delle classificazioni, che genera ostacoli a livello amministrativo e doganale, e la discrepanza tra le politiche e i regolamenti implementati da ogni singolo Stato membro, che crea disparità concorrenziali nel mercato internazionale e inibisce l’aumento delle economie di scala degli impianti.
Dopo il memorandum, il documento della Commissione riepiloga priorità, obiettivi e impostazione della Strategia Europea sul Tessile sottolineando, tra le altre cose: a) l’obiettivo di produrre beni tessili sempre più recuperabili e privi di sostanze pericolose: b) la raccomandazione di introdurre regimi EPR che differenzino il contributo ambientale dipendendo dal livello d’impatto del prodotto e c) la necessità di raccogliere le sfide dell’esportazione “promovendo la dignità del lavoro in ogni parte del mondo, per una transizione globale che sia giusta, e forme di recupero che siano sostenibili”. Tra i percorsi normativi legati alla proposta di emendamento della direttiva europea dei rifiuti, vengono citati la Waste Ship Regulation (regole sulle esportazioni, che dovrebbero favorire l’esportazione di ciò che è recuperabile e inibire l’esportazione di ciò che va smaltito), il regolamento europeo sull’Ecodesign (ESPR, in fase di negoziazione) e il REACH (sulla proibizione della messa in circolazione di sostanze pericolose).
GLI STAKEHOLDER
Nel riportare il percorso di consultazione europea degli stakeholder, la Commissione sottolinea che il settore del tessile europeo è dominato dalle piccole e medie imprese (SMEs). Tra i 757 pareri ricevuti, ben 65 arrivano dal piccolissimo Belgio (dove esiste un settore tessile di imprese sociali fortemente pooliticizzato ed abituato alle operazioni di advocacy), 23 dalla Germania, 16 dalla Francia, 14 dall’Olanda e 12 dall’Italia. La consultazione pubblica è stata integrata da colloqui individuali o di gruppo con stakeholder selezionati, e il risultato, riferisce la Commissione Europea, è stato un generale appello a rispettare la gerarchia dei rifiuti, a introdurre l’EPR e l’ecodesign, a stabilire target separati di preparazione per il riutilizzo per favorirla rispetto ad altre forme più inquinanti di recupero e ad armonizzare le regole a livello comuntario. Su queste richieste si ritrovano sostanzialmente d’accordo non solo i player della raccolta e del recupero ma anche i produttori (sui quali ricadranno gli oneri e le responsabilità dei regimi EPR). Alle imprese sociali del settore, che in questo percorso di consultazione sono state particolarmente attive, la Commissione dice che dovrà essere riservato un “ruolo chiave”.
LE PROPOSTE DELLA COMMISSIONE
La proposta chiave della Commissione è che nella direttiva sui rifiuti venga aggiunto un articolo (il 22a) specificatamente dedicato alla Responsabilità Estesa del Produttore dei tessili post-consumo, che stabilisca nel primo comma che gli Stati membri provvedano all’istituzione dei relativi regimi. L’EPR del tessile non sarebbe più quindi un’opzione caldamente raccomandata ma un obbligo vero e proprio, che includerà l’ecomodulazione dei contributi ambientali a carico dei produttori per premiare quelli che mettono in circolazione i prodotti più agevolmente recuperabili. I sistemi EPR dovranno essere disegnati in modo da garantire equità di trattamento a tutti i produttori partecipanti, indipendentemente dalla loro dimensione (in riconoscimento al fatto che le SMEs sono numericamente dominanti).
Le merceologie e le classificazioni, secondo la proposta, dovranno fare riferimento a tabelle comuni europee, perché vengano ridotti i problemi amministrativi e doganali e quelli legati allo squilibrio competitivo tra i player che lavorano nei paesi con quadri regolatori più semplici e quelli che operano con norme nazionali più articolate e complesse.
Infine, la proposta prevede che gli Stati membri assicurino che alle organizzazioni EPR, ossia ai sistemi collettivi dei produttori, “non sia permesso rifiutare la partecipazione delle imprese sociali e di altri operatori del riuso nei sistemi di raccolta differenziata” da essi stabiliti.
Alle imprese sociali, nello specifico (e non a “gli altri operatori del riuso”) verrebbe permesso di mantenere e operare i propri attuali punti di raccolta beneficiandosi di trattamenti paritari o preferenziali nell’assegnazione di altri punti di raccolta. Queste imprese sociali, pur essendo collegate al sistema di raccolta dei produttori, non sarebbero obbligate a consegnare quanto raccolto alle organizzazioni EPR.
Il mio parco commento finale, promesso all’inizio, si divide in una parte di lode e in una parte di critica. La lode non ho bisogno di argomentarla molto: è ovvio che imponendo i regimi EPR a tutta l’Unione il recupero del tessile aumenterà, e che l’armonizzazione, sopratutto quella buroctratica e classificatoria, sia utile e necessaria. La critica, invece, la formulo retoricamente per mezzo di alcuni semplici punti di domanda, chiarendo in premessa che sono un operatore della filiera del recupero e che la mia rete di riferimento cura tutti i passaggi della filiera, dalla raccolta fino al riuso finale.
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Dando per buono il concetto che il recupero dei rifiuti tessili debba in qualche modo sostenere il sociale, come mai la direttiva europea non parla di favorire specifici e quantificabili risultati sociali ma soggetti specifici che sono definiti “sociali”? Come mai non vengono prese in considerazione tutte le imprese che, pur non ricadendo nella classificazione formale di “imprese sociali”, generano o sono in grado di generare, risultati sociali positivi?
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Perché questi soggetti specifici, ovvero le imprese sociali, a differenza di tutti gli altri che fanno il loro stesso lavoro, dovrebbero avere il diritto di raccogliere e di consegnare a chi vogliono quanto raccolto, pur beneficiandosi dei contributi EPR?
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La creazione di queste eccezioni, che è difficile da giustificare in termini di libero mercato, quali rischi produrrebbe in termini di trasparenza e legalità di filiera? Questi soggetti privilegiati (le “imprese sociali”) quali obblighi avrebbero in merito a tracciabilità, etica e legalità lungo l’intero percorso del rifiuto e dell’indumento? E infine: il loro ruolo verrebbe garantito in tutti i territori anche quando non rappresentano la migliore opzione disponibile sul piano dei risultati ambientali (e sociali)?
Nel settore dei rifiuti tessili l’illlecito, e il caso italiano purtroppo lo dimostra, è spesso generato proprio da quelle filiere dove il primo anello, ossia il raccoglitore, non viene mai messo in discussione e svolge il proprio servizio come si trattasse di un “diritto”. Il fatto che sia la Commissione Europea stessa a voler imporre questa anomalia è a dir poco molto grave. La spiegazione di questo atteggiamento? Va ricercata nei meccanismi lobbistici, e nella capacità (o non capacità) della Commissione di distinguere tra la realtà delle cose e il livello di presenzialismo dei soggetti particolari.