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EPR tessile e Second-hand

Martedì 21 Gennaio 2025

Alessandro Giuliani

A quanto sembra, la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) del Tessile è finalmente alle porte. L’Europa sta preparando una modifica alla direttiva quadro sui rifiuti che impone a tutti gli Stati Membri l’applicazione di specifici Decreti per introdurla, e l’Italia, dopo uno stallo di quasi due anni nelle concertazioni, sta per emettere il proprio Decreto. L’EPR, sancendo la responsabilità dei produttori nel finanziare e organizzare le filiere di recupero dei capi di abbigliamento e prodotti tessili arrivati a fine vita, rivoluzionerà non solo il settore della raccolta e recupero dei rifiuti tessili urbani (i noti “cassonetti gialli”) ma anche l’economia dell’usato. Un’economia che, come ha stimato ISPRA, che è il braccio di ricerca del MASE, garantisce il riutilizzo di almeno 14.000 tonnellate annue di tessili; tra l’altro, questa stima riguarda solo il segmento dell’usato conto terzi senza includere l’ampio arcipelago degli ambulanti e dei negozi second-hand specializzati.

epr-tessile-second-hand 

Lo schema di decreto che il MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) ha fatto circolare a gennaio tra gli stakeholder del settore, specifica già all’articolo 1 che la finalità del provvedimento è “prevenire e ridurre gli impatti ambientali derivanti dalla progettazione, dalla produzione e dalla gestione dei prodotti tessili al termine del loro utilizzo, rafforzando lungo tutta la catena del valore la prevenzione, la selezione, il riutilizzo, la riparazione, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio”. Diversamente da altre norme ambientali, dove il riutilizzo viene menzionato solo in linea di principio e perché la gerarchia dei rifiuti imposta dall’Europa lo richiede, questa volta i provvedimenti proposti sono più dettagliati.

Un rischio concreto

A corredare i provvedimenti proposti dal Ministero però, purtroppo, non ci sono obiettivi quantitativi specifici di riutilizzo, e neanche viene contemplata la possibilità di convogliare/assimilare i risultati di riutilizzo negli obiettivi quantitativi generali di recupero dei rifiuti. Esiste quindi il rischio, molto concreto, che i sistemi di gestione EPR non diano veramente la priorità al riutilizzo, ma solo a quelle azioni di recupero rifiuti che contribuiscono direttamente al raggiungimento degli obiettivi quantitativi imposti dalla norma; sarà infatti sull’oggettivo raggiungimento o non raggiungimento di questi obiettivi che i sistemi di gestione verranno valutati e messi sotto pressione, non solo dal MASE ma anche dall’Europa, e con prospettiva di infrazione se i risultati sono carenti.




I provvedimenti proposti dal MASE

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica propone che il contributo ambientale versato dai produttori per ogni kg di tessili immesso sul mercato venga allocato in via prioritaria anche a misure di riutilizzo. All’articolo 6, che riguarda l’ecoprogettazione, viene proposta “la riduzione dei difetti di qualità che inducono il consumatore a disfarsi rapidamente dei prodotti tessili, favorendo altresì lo sviluppo di un mercato di prodotti tessili sostenibili e circolari, l’incremento di modelli commerciali circolari quali riutilizzo, noleggio, riparazione e servizi di ritiro”.

L’articolo 7 è interamente dedicato alle “Misure per il riutilizzo e la riparazione di prodotti tessili usati”, e determina che “i produttori, anche attraverso i sistemi di gestione, d’intesa con le pubbliche amministrazioni e gli operatori interessati” stabiliscano una serie di misure, tra le quali (riportiamo in maniera integrale gli specifici punti dell’articolo):

a) promuovere e incoraggiare il riutilizzo, al fine di favorire il prolungamento del ciclo di vita dei prodotti tessili usati, anche attraverso i centri di raccolta di cui all’art. 181, comma 6, del D.lgs. n. 152/2006, implementando un modello gestionale efficace e condiviso;

e) favorire le attività di riuso tramite scambi e vendite nel mercato dell’usato, anche in modalità digitale;

f) favorire lo sviluppo e l’implementazione di filiere nazionali e locali dell’usato promuovendo reti commerciali dedicate, anche attraverso la diffusione di sistemi di tracciabilità del prodotto;

g) organizzare campagne di comunicazione ambientale e attività di sensibilizzazione rivolte ai cittadini, dirette a favorire la prevenzione della produzione dei rifiuti e la conoscenza di pratiche volte al riuso;

Inoltre, l’articolo 15 stabilisce che i produttori, anche attraverso i loro sistemi di gestione, forniscano informazioni ai consumatori in merito a “i centri per il riutilizzo e le filiere dell’usato e del ‘second hand, finalizzati a favorire il prolungamento del ciclo di vita dei prodotti tessili usati”.




Riequilibrare i poteri

Nello scenario EPR il Riutilizzo, così come la raccolta e il recupero degli abiti usati classificati come rifiuti tessili urbani, saranno organizzati e finanziati da sistemi di gestione dove intervengono sia i Produttori che i Comuni, a volte in sinergia e a volte in modo parallelo. Per gli operatori del riutilizzo l’intervento di nuovi player, ossia dei consorzi dei produttori, sarebbe una buona notizia, perché andrebbe a spezzare, in qualche modo, il monopolio degli enti locali sulle politiche di sostegno al settore. Politiche che, non è il caso di nasconderlo, anche perché è una verità di pulcinella, sono tradizionalmente viziate da favoritismi, clientelismi e traffico d’influenze, e in alcuni casi (vedi “mafia capitale”) anche da corruzione diretta. Gli operatori del riutilizzo sono storicamente vessati dai Comuni, che tendono a promuovere opzioni di riutilizzo dai risultati molto limitati o inesistenti, come i centri per il riutilizzo e le feste del baratto, astenendosi dal coinvolgere le microimprese territoriali del riutilizzo, ossia quegli operatori che realmente, e in silenzio, fanno il lavoro quotidiano di riutilizzo e del riutilizzo hanno fatto il loro progetto di vita; in molti casi i Comuni invece che promuovere le attività di riutilizzo le vessano apertamente, ad esempio applicando ai negozi dell’usato conto terzi tariffe dei rifiuti urbani completamente sproporzionate, o rifiutandosi di regolarizzare e coinvolgere gli operatori del riutilizzo vulnerabili (“waste pickers”) che sgomberano locali e lavorano nei mercati delle pulci. Nel caso dell’affidamento dei servizi di raccolta, poi, sono note le preferenze verso gli “enti non profit di riferimento”, a scapito degli altri operatori, anche non profit, che avrebbero diritto a competere, magari offrendo filiere di preparazione per il riutilizzo più legali e trasparenti (questo fenomeno è stato oggetto, tra le altre cose, di uno specifico filone d’inchiesta della Commissione Ecomafie, che nel 2022 ha dimostrato che la criminalità organizzata infiltra il settore, anche facendo uso di cooperative sociali che sono nelle grazie dei Comuni). Rompere il sistema monopolistico dei Comuni, creando un po’ di sana disruption, potrebbe togliere tanto marcio dal sistema e aprire la porta a nuovi scenari industriali di massimo riutilizzo, ma sempre e quando il ruolo dei produttori sia realmente organizzativo, plurale, e vincolato ad espliciti obiettivi quantitativi.

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