Riflessioni su Economia Sociale e Riutilizzo (4)
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Riflessioni su Economia Sociale e Riutilizzo (4)

Giovedì 09 Febbraio 2023

Seguendo il filone di riflessioni su Economia Sociale e Riutilizzo, la redazione di Leotron ha contattato Domenico Modafferi, Presidente della cooperativa sociale 1995 di Reggio Calabria, che da quasi trent’anni offre inserimento lavorativo a persone rom per mezzo di servizi ambientali. La cooperativa ha recentemente ricevuto dal Comune di Reggio Calabria l’incarico di gestire un Centro di Riuso municipale.

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Modafferi, come possono posizionarsi nel futuro le imprese sociali che, come la vostra, puntano al mercato del riutilizzo?

Le cooperative sociali, ma non solo loro, fanno una gran fatica a confrontarsi con le regole del mercato. Spesso, quando ci candidiamo a fornire servizi di raccolta rifiuti ad amministrazioni locali o grande distribuzione organizzata, ci troviamo a dover competere con società che hanno costi molto più bassi dei nostri perché fanno uso di lavoro sommerso. Purtroppo al sud questa situazione è molto frequente. La formula tipica è assumere un lavoratore part time e poi chiedergli ore extra che vengono pagate al nero. Noi non siamo mai entrati in questo tipo di meccanismi, è una questione di correttezza. A competere in modo sleale a volte non sono solo società private, ma anche cooperative sociali che di sociale non hanno molto. Una vera cooperativa sociale può generare utili ma li deve reinvestire. Ci sono invece casi in cui i dirigenti della cooperative, grazie a magheggi contabili, riescono ad arricchirsi sulle spalle dei soggetti svantaggiati.

Come si esce da questa situazione?

Gli enti che affidano i servizi dovrebbero essere molto più rigorosi nei controlli, e quando ad eseguire i servizi sono imprese sociali, i controlli dovrebbero riguardare anche gli aspetti sociali. Non basta affidarsi ad attestati certificazioni: le certificazioni ormai si comprano, è diventato un mercato come un altro, ed è frequente che ad acquistarle siano soggetti che non si comportano sanamente.

L’argomento sociale può costituire un argomento competitivo per ottenere i servizi? E in che modo?

Nel nostro caso, al momento di offrire servizi non mettiamo particolarmente enfasi sul nostro lavoro sociale. Puntiamo piuttosto a garantire serietà ed efficienza nell’esecuzione del servizio, come è giusto che sia. Per vent’anni abbiamo gestito il servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti ingombranti a Reggio Calabria, e questo è stato possibile solo e soltanto perché il nostro lavoro è sempre stato molto serio. Quando il Comune ci ha tolto il servizio molti utenti ci sono rimasti male e hanno protestato. Riuscire ad offrire un servizio di ottimo livello impiegando persone rom è stata una grande vittoria, non solo perché queste persone sono state integrate lavorativamente, ma anche dal punto di vista culturale. All’inizio alcuni cittadini erano diffidenti, non se la sentivano di far entrare degli “zingari” nelle loro case per raccogliere gli ingombranti. Ma queste resistenze piano piano sono sparite, perché chi svogeva il servizio lo faceva in modo puntuale, affidabile e preciso. Siamo riusciti a dimostrare, con i fatti e non con le parole, l’importanza della cooperazione sociale.




Negli ultimi anni le cooperative sociali sono spesso finite al centro di gravi scandali...

E’ vero ed è un grande peccato. I problemi esistono, occorre riconoscerlo. La dinamica descritta dall’inchiesta Mafia Capitale riguarda non solo Roma ma tutto il paese. Ed ogni volta che una cooperativa sociale opera in modo corruttivo e i giornali ne parlano, viene gettato discredito sull’intero settore. Si tende a fare di tutta l’erba un fascio e questo non è giusto. Poi al Sud abbiamo anche un altro problema. Sono molti i disoccupati che accusano noi e chi ci affida i servizi di offrire corsie preferenziali ai rom o ad altre categorie deboli, togliendo loro opportunità di lavoro. Ma questa osservazione non è corretta: sarebbe come lamentarsi dell’esistenza di insegnanti di sostegno nelle scuole. Non tutti i bambini hanno le stesse capacità, e alcuni di essi senza un aiuto verrebbero completamente esclusi dai percorsi di apprendimento. La stessa cosa accade con il mondo del lavoro. Chi è in condizione di svantaggio, per avere le stesse opportunità degli altri, deve essere aiutato. Va poi chiarito che per la legge italiana non è sufficiente essere rom per rientrare nella categoria protetta degli svantaggiati. La nostra cooperativa sociale, di fatti, impiega un 30% di manodopera che rientra nelle categorie formali dello svantaggio indipendentemente dal fatto di essere rom. E poi abbiamo anche impiegati rom che non rientrano in questa categoria. In totale i rom rappresentano circa il 50% della nostra forza lavoro.

Il mondo del riuso è pieno di operatori di etnia rom. Secondo lei il loro inserimento lavorativo dovrebbe essere favorito dalla legge?

Secondo me sì, perché appartengono oggettivamente a una categoria vulnerabile. L’argomento è delicato, perché favorire un’etnia specifica significa, in qualche modo, creare distinzioni etniche che potrebbero essere considerate inopportune o addirittura incostituzionali. Però è l’Unione Europea stessa a riconoscere ai rom uno status di minoranza emarginata, e a promuovere programmi per la loro integrazione economica e sociale. I rom non riescono facilmente a integrarsi, ma questo non è dovuto né al DNA né alla loro identità culturale. L’origine del fenomeno va ricercata nel funzionamento del tessuto sociale, nel suo livello di inclusività. Se un rom delinque va punito secondo la legge, la sua responsabilità è individuale. Ma se vogliamo disinnescare i meccanismi che inducono i membri di una specifica comunità a operare al di fuori della legge, occorre lavorare seriamente sull’integrazione.

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