Circolarità del tessile in crisi
Da due anni a questa parte in Europa e in Italia si parla molto della svolta circolare del settore tessile. Ma a che punto siamo? La Commissione Europea ha posto il recupero e l’ecodesign dei tessili al centro della sua Strategia per l’Economia Circolare, e ha posto all’attenzione di Parlamento e Consiglio Europeo una proposta di introduzione obbligatoria della Responsabilità Estesa del Produttore in tutti gli Stati Membri. In base a questa proposta i produttori del tessile diventeranno responsabili di obiettivi di recupero dei rifiuti tessili che potrebbero essere molto ambiziosi, e tali obiettivi dovranno essere raggiunti mediante uno sforzo finanziario e organizzativo. Ma nel frattempo, nella maggioranza degli Stati Membri, le filiere della gestione dei rifiuti tessili continuano ad operare in maniera sostanzialmente autonoma, negoziando con i municipi e le aziende di igiene urbana la possibilità di raccogliere i rifiuti tessili in modo gratuito. Com’è possibile che un servizio di raccolta differenziata di rifiuti urbani venga prestato in modo gratuito? La risposta è che i rifiuti tessili sono ricchi di abiti usati che hanno un buon valore di mercato, e che dopo trattamento a norma di legge possono essere piazzati sui mercati dell’usato nazionali ed esteri; la vendita di questi abiti usati permette ai player privati impegnati nella filiera di sostenere i loro costi operativi. Ciò vuol dire che, fino ad oggi, è stato il mercato dell’usato a sostenere economicamente la raccolta e il recupero dei rifiuti tessili, senza alcun apporto da parte dell’istituzione pubblica. Il mercato però, a quanto riferiscono gli operatori di tutta Europa, è in forte crisi. “Gli impianti che selezionano i rifiuti tessili sono sull’orlo del collasso” ha dichiarato in una nota stampa Euric Textiles, che è l’associazione di categoria che rappresenta i player europei del recupero dei rifiuti tessili. “Senza un intervento immediato la crisi aumenterà, provocando danni economici ed ambientali irreversibili”. La crisi, secondo Euric Textiles “è il risultato di una combinazione di fattori: costi in ascesa, crollo delle vendite dovuto all’eccesso di offerta sul mercato internazionale, carenza di canali di riciclo”. “Il rischio” afferma l’associazione europea “è che i rifiuti tessili, anziché essere avviati a riutilizzo e riciclo, vengano portati direttamente agli inceneritori. In questo scenario non ci sarebbero più né raccolta differenziata né selezione di rifiuti tessili, e ciò vanificherebbe gli sforzi fatti dai produttori tessili per costruire filiere di economia circolare. L’interruzione delle esportazioni degli abiti di seconda mano provocherà inoltre pesanti impatti economici, sia qui in Europa che nei paesi di destinazione”.
Un allarme confermato da Assorecuperi - Confcommercio, che rappresenta gli operatori italiani del recupero tessile. La Rappresentante del Gruppo di Lavoro Tessile di Assorecuperi Valentina Rossi spiega che “in Italia la situazione è particolarmente difficile perché i Comuni e le loro aziende di igiene urbana mettono all’asta il servizio di raccolta, e questa situazione genera problemi a catena sull’intera filiera”.
Leotron ha chiesto agli operatori della filiera di chiarire la situazione. Il primo anello della filiera è la raccolta dei rifiuti tessili nei territori, che oggi avviene prevalentemente mediante contenitori stradali. Gianluca Nicoletti, CEO dell’azienda raccoglitrice Nicoletti Servizi, riferisce che: “è ormai diffusa, tra le stazioni appaltanti, l’idea che quello tessile sia un rifiuto ricco, e che chi raccoglie pur di aggiudicarselo sia disposto a pagare alte cifre; questo può essere vero nei momenti in cui il mercato va molto bene; ma nelle fasi di crisi, come quella attuale, pagare contributi a chi assegna il servizio è difficile, se non impossibile. Soprattutto quando le basi d’asta sono sproporzionate”. Nicoletti entra nel dettaglio. “Oggi il prezzo di mercato del rifiuto originale raccolto è inferiore ai 40 centesimi al kg, e nelle zone d’Italia dove la qualità è inferiore si aggira attorno ai 30 centesimi. Considerato che un operatore che lavora con regolarità ha costi che oscillano tra i 35 e i 40 centesimi al kg, dover pagare anche le stazioni appaltanti non è fattibile. Se tutti lavorassero in piena regolarità a queste gare al massimo rialzo non parteciperebbe nessuno, soprattutto quando le basi d’asta sono sproporzionate. Ma purtroppo esistono imprese che lavorando nell’illegalità non sostengono gli stessi costi operativi, e quindi sono in grado di partecipare conquistando grosse fette di mercato; questa politica delle stazioni appaltanti rischia quindi di alimentare soprattutto le filiere torbide. Le stazioni appaltanti che applicano questo sistema non si rendono pienamente conto che i costi di riferimento delle filiere del recupero sono fluttuanti, e che dipendono anche da variabili come la qualità del raccolto; una qualità che attualmente è rovinata dall’eccessiva quantità di fast fashion non recuperabile. Offerte che erano sostenibili pochi anni fa, oggi sono diventate anomale. Utilitalia, l’associazione di categoria delle aziende igiene urbana, ha pubblicato nel 2021 delle Linee Guida su come fare gli appalti della gestione del tessile, dove è scritto chiaro e tondo che il massimo rialzo, quando è fatto in modo cieco, favorisce l’illegalità”. Le dichiarazioni di Nicoletti sono corroborate dai trend dei costi e dei fatturati degli operatori della raccolta riportati nel Rapporto Nazionale sul Riutilizzo del 2024. I dati del Rapporto Nazionale, forniti da Rete NICE, riguardano un periodo di 15 anni e si basano sulle dichiarazioni di tre operatori storici della raccolta di rifiuti in Italia che, sommati tra di loro, rappresentano circa il 15% del mercato. Nel grafico che segue, tratto dal Rapporto, il “costo di acquisizione” è riferito ai contributi economici erogati dai raccoglitori alle stazioni appaltanti, ossia ai Comuni e alle loro aziende di igiene urbana; il “costo accumulato” riguarda invece la somma tra questi contributi e i loro costi operativi. Il rischio di rottura del punto di equilibrio economico era già evidente nel 2022, nonostante i prezzi fossero significativamente più alti che nel 2024.
Fonte: Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2024, dati di Rete NICE
Leotron ha poi sentito il titolare di Herman Textile Recycling Luca Cesaro. La sua azienda è attiva nel secondo anello della filiera, che è la selezione dei rifiuti tessili. “Chi fa il nostro mestiere affronta una crisi senza precedenti”, spiega Cesaro. “I fattori della crisi sono molteplici le quantità da smaltire aumentano, e il costo al kg dello smaltimento è cresciuto tantissimo. La frazione riutilizzabile è sempre di meno, e il suo prezzo sul mercato internazionale scende sempre di più a causa della concorrenza dei cinesi e dei sudcoreani, che vendono le balle di seconda mano a prezzi stracciati. La frazione riciclabile invece non ha canali stabili ed affidabili. A questi problemi si aggiungono quelli geopolitici: si è chiuso il grande mercato russo e molti paesi di destinazione aumentano le tariffe doganali o introducono moratorie all’importazione, mentre i prezzi dell’energia e dei trasporti salgono. Per sopravvivere dovremmo abbassare i prezzi, ma i costi che dobbiamo sostenere non ce lo consentono”.
Abbas Abou Khalil rappresenta invece il terzo anello della filiera, ossia la distribuzione degli abit riutilizzabili nel mercato dell’usato. Khalil è titolare del circuito di imprese di africane S-Afriq, e riporta che “gli importatori e distributori africani della seconda mano sono in difficoltà perché i consumatori finali hanno problemi di sopravvivenza a causa dei rincari energetici e del cibo. I mercati hanno pochi clienti. E chi è specializzato nell’importazione di abiti dall’Europa soffre, perchè le offerte di seconda mano provenienti dall’Asia sono diventate più competitive”.
“L’unico modo di uscirne” dice Valentina Rossi “è che venga introdotto il più presto possibile, senza ulteriori esitazioni, un regime di Responsabilità Estesa del Produttore dove i consorzi dei produttori tessili abbiano il compito di selezionare e monitorare filiere affidabili, e di sostenere queste filiere perché gli operatori abbiano modo di rimanere competitivi sul mercato pur lavorando nella piena legalità”.
Euric Textiles è sulla stessa linea. Nella sua nota stampa l’associazione europea afferma di aver chiesto con estrema determinazione un intervento di livello europeo per prevenire l’estinzione del settore del recupero. L’asse portante di tale intervento dovrebbe essere l’immediata introduzione di schemi di Responsabilità Estesa del Produttore. Questi ultimi dovrebbero sostenere le filiere del recupero così come indicato nella proposta di modifica della Direttiva sui rifiuti avanzata dalla Commissione Europea. L’Associazione di categoria segnala anche la necessità di stimolare la domanda europea di riciclo tessile per mezzo degli “acquisti verdi” (green public procurement) e con l’introduzione obbligatoria di contenuto riciclato nella produzione tessile (nel quadro del regolamento Ecodesign).
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