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Abiti usati e aste al massimo rialzo: serve uno stop

Martedì 22 Novembre 2022

Valentina Rossi – Portavoce di Rete Nice

La normativa italiana ed europea lo dice chiaramente: le reti di riutilizzo vanno sostenute, e nel recupero dei rifiuti la preparazione per il riutilizzo è in cima alla gerarchia. Eppure, la più grande e strutturata filiera della preparazione per il riutilizzo in Italia, quella degli abiti usati, lungi dall’essere sostenuta è vessata dalle richieste economiche di quei Comuni e di quelle Aziende di igiene urbana che continuano ad affidare il servizio di raccolta e gestione dei rifiuti tessili urbani mediante aste al massimo rialzo. A essere favorite da questo sistema sono le filiere meno pulite, ossia quelle che disinteressandosi di ogni standard di qualità e spesso anche della legge, riescono ad avere maggiori margini economici e a sparare le cifre più alte. Sia chiaro: negli ultimi anni molti operatori onesti hanno presentato offerte alte e si sono aggiudicati appalti di questo genere pur di mantenere in piedi la loro struttura, non licenziare il personale e rimanere radicati nei territori. Ma mentre con questo sistema i player sani entrano in sofferenza, quelli che non sono per nulla sani si espandono e si rafforzano.

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Il primo problema di fondo è dato dalle fluttuazioni dei ricavi di chi raccoglie gli abiti e li rivende, e dall’instabilità che caratterizza sia i costi di smaltimento che la qualità del flusso. Le fluttuazioni nei ricavi sono date da un prezzo di vendita che dipende dal mercato internazionale e che subisce impatti di ogni genere, da quelli geopolitici a quelli doganali dei paesi importatori, a quelli che sono legati dall’aumento delle offerte provenienti da Cina e Corea del Sud. Nel 2019 la chiusura temporanea dei canali tunisini, ad esempio, ha posto per diversi mesi il prezzo medio degli abiti usati italiani sotto i trenta centesimi al kg (che è la soglia di costo) e molti operatori, pur svendendo per disperazione, non riuscivano a svuotare i loro magazzini. Va poi considerata la violenta ascesa del fast fashion, che incrementa la quantità di rifiuti tessili riducendone drasticamente la riutilizzabilità e riciclabilità. Con l’aumento delle quantità, quindi, aumenta il costo della raccolta senza che ci sia un proporzionale aumento dei ricavi. Aumenta però la quota da smaltire a carico degli impianti di trattamento, e questo in una fase in cui il prezzo al kg per smaltire è salito alle stelle. Insomma, nulla a che vedere con i settori “ad alto standard di ripetitività” ai quali il codice degli appalti europeo riserva la possibilità di fare aste basate sull’elemento economico. Le aste al massimo rialzo annullano i margini economici degli operatori della raccolta e, nelle fasi peggiori, distruggono ogni possibilità di mantenere punti di equilibrio sani. Gli illeciti perpetrati dagli operatori meno sani per ottenere risparmi sono stati recentemente segnalati dalla relazione finale sugli indumenti usati della Commissione Ecomafie: accumuli abusivi di scarti in magazzini abbandonati, invio illegale di rifiuti a canali di recupero extraeuropei, commercio e lavoro nero e altro ancora.




I problemi sopra presentati sono ben conosciuti da Utilitalia, l’associazione di aziende di igiene urbana che riunisce gran parte delle stazioni appaltanti. Risalgono infatti al 2021 le sue “Linee Guida per l’affidamento del servizio di gestione dei rifiuti tessili”. In questo importante documento si sottolinea che, ai sensi di legge, la richiesta economica non dovrebbe costituire l’unico elemento determinante di una gara, e che le eventuali pretese di contributo andrebbero misurate a partire dagli utili che è ragionevole aspettarsi da un operatore della raccolta, preso atto dei suoi costi e dei suoi ricavi. Ma cosa fare di fronte ad operatori che dichiarano di vendere a cifre irreali e stratosferiche, perché magari gestiscono i tre quarti del flusso al nero e integrano le loro raccolte con contenitori abusivi (in Italia ce ne sono circa 4000!)? Utilitalia nelle sue Linee Guida sottolinea anche un altro aspetto: le aste al massimo rialzo sono incompatibili con la solidarietà. Non è infatti possibile ritagliare margini per finanziare progetti solidali, quando ogni margine è già stato succhiato dalla stazione appaltante...e questo è un gran peccato dato che i cittadini/consumatori che conferiscono gli abiti nei contenitori desiderano, tradizionalmente, che il loro gesto generi risultati sociali positivi. Purtroppo, al nord come al centro e al sud, sono molte le stazioni appaltanti che scelgono deliberatamente di ignorare in blocco gli orientamenti di Utilitalia.




Con l’introduzione del regime di responsabilità estesa del produttore del tessile il funzionamento generale del sistema potrebbe cambiare, ma non necessariamente in meglio. Comuni e Aziende di Igiene urbana, vincolate ad avviare i rifiuti tessili agli impianti indicati dai consorzi dei produttori, con ogni probabilità affideranno le raccolte ad operatori che non saranno più proprietari degli abiti raccolti e che verranno pagati per il loro servizio (oggi prestato gratuitamente, visto che la vendita dei vestiti copre i costi operativi). Ma se l’atteggiamento di fondo delle stazioni appaltanti rimarrà lo stesso, e le aste al massimo rialzo saranno sostituite da gare al massimo ribasso, i raccoglitori continueranno ad essere strangolati e per mantenersi in piedi avranno una grossa tentazione: appropriarsi illecitamente degli abiti usati raccolti che hanno sotto mano per rivenderli al nero alle consolidatissime filiere che lavorano fuori dalla legalità. A quel punto le filiere selezionate dai produttori in base a standard di qualità verranno deprivate di parte della frazione valorizzabile, con il rischio di diventare inefficienti, mentre i soggetti meno etici continueranno a prosperare e a rafforzarsi. Non è uno scenario fantascientifico: i flussi paralleli e illegali di rifiuti esistono e a volte, come nel caso dei rifiuti di apparecchi elettrici ed elettronici, rappresentano un problema in grado di neutralizzare le strategie di recupero delle filiere formali. Anche di questo fenomeno si è occupata la Commissione Ecomafie producendo una specifica relazione. Come uscire da questo circolo vizioso? I player del recupero più sani possono fare la loro parte insistendo sempre di più sulla trasparenza delle filiere.

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