Gen Z: una profonda dicotomia
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Gen Z: una profonda dicotomia

Martedì 25 Luglio 2023
Eleonora Truzzi

Perché la Generazione Z viene definita quella più attenta alla sostenibilità e alla salvaguardia del pianeta e poi è proprio questa generazione a essere vittima del consumismo compulsivo dettato dai grandi marchi fast fashion? Si parla tanto della Gen Z (i nati tra la fine degli anni ’90 e il 2010) come della generazione che vuole cambiare il mondo e poi, sui social media, vediamo perlopiù giovani che si cambiano d’abito.

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La prima motivazione è certamente economica: la vita è diventata più cara, ce ne accorgiamo quando andiamo fuori a cena, quando paghiamo l’hotel per le vacanze e anche quando facciamo shopping. Tutto è aumentato ma, come accade sempre, l’aumento del costo della vita non è andato di pari passo con l’aumento dei salari. Ciò significa che è necessario rinunciare a quella cena in più, così come risparmiare sull’acquisto di un vestito. In questo background sono pullulati i marchi e le piattaforme di fast fashion. I giovani, quella fascia di popolazione che ancora studia o che ha da poco iniziato a lavorare, non possono sottrarsi al caro vita. E per non rinunciare agli acquisti, si rivolgono a chi gli vende una t-shirt o un paio di pantaloni per pochi euro in cambio. Alcune ricerche parlano addirittura di 9 studenti su 10 che acquistano fast fashion, perché solo 1 può permettersi un marchio di moda sostenibile.

Una tendenza sicuramente ingigantita fino a livelli preoccupanti dai social media. Non è infatti il capo di fast fashion in sé a creare il problema, perlomeno non un problema così grande. Anche un capo di Shein ben conservato può durare un decennio (benché l’azienda stessa abbia dichiarato che i suoi articoli hanno una durata massima di un anno). Il vero problema è la tendenza “usa e getta” diffusa dai giornali, dalle televisioni e, negli ultimi anni, anche dai social media. D’altronde, per ottenere un po’ di visibilità su Instagram un influencer di moda deve caricare almeno un contenuto ogni giorno e ciò significa almeno un outfit nuovo per ogni contenuto creato.




Stiamo comunque parlando di una tendenza che non è nata con la Generazione Z, ma con quelle precedenti. Negli anni del cosiddetto “miracolo economico italiano”, tra il 1950 e il 1960, la popolazione ha assistito a un periodo di abbondanza che ha portato le aziende a produrre più oggetti e i consumatori a comprarli, felici finalmente di vivere un momento di ricchezza. Così è stato finché l’abbondanza tanto agognata si è trasformata in eccesso. Ciò che nel dopoguerra sembrava una conquista, è diventato un atteggiamento ossessivo-compulsivo che è stato trasmesso alle generazioni successive.

È davvero necessario cambiarsi ogni volta in cui si esce? Anche se si incontrano persone diverse o addirittura si è soli? Sì, pare essere necessario. Ed è così perché ci troviamo in una società ego-centrica, ossia che mette al centro l’Io, la persona. In un simile contesto l’essere umano non si sente inserito all’interno dell’ambiente, si sente superiore, mentre tutto il resto rimane un contorno. È interessante notare come sia stato coniato il termine “ambiente” in riferimento a uno spazio circostante. Già a livello semantico ci consideriamo distinti dalla natura e dal mondo animale. E questo concetto acquista maggior significato se si pensa che in alcune culture, come quella tibetana, non esiste la parola ambiente con l’accezione che siamo soliti dargli. Tutto è connesso e l’uomo è parte del tutto.

Ma poniamo il caso che la Gen Z si sia resa conto che l’ambiente, benché esterno, sia importante. Cosa offre la moda sostenibile? Cosa propongono i marchi che utilizzano processi e materiali green? Nella maggior parte dei casi vendono prodotti con costi che il consumatore medio non può permettersi. Non è forse una contraddizione? Qualcosa che fa bene all’uomo e al pianeta dovrebbe essere accessibile a tutti mentre, allo stato dei fatti, rimane un bene di lusso.




Quindi è vero, la Gen Z sta vivendo una dicotomia, perché a sua volta le contraddizioni sono palpabili all’interno dell’intera società. E per superarle, l’unica strada è un cambio di coscienza. Le nuove generazioni vanno aiutate in questo percorso. Anche perché le opzioni ci sono, come l’usato. Il second hand, grazie al capillare lavoro degli operatori dell’usato, offre una soluzione a tutte le problematiche viste sopra: è accessibile a un vasto pubblico, permette di differenziarsi, di valorizzare la propria unicità e di salvaguardare il pianeta senza sfruttamento di materie prime e senza spreco.

La Gen Z sta vivendo l’impatto di una società consumistica sull’ambiente. I giovani di questa generazione sono cresciuti in un momento in cui i problemi ambientali sono sempre più evidenti e pressanti. Stanno vedendo gli effetti dei cambiamenti climatici come l'innalzamento del livello del mare, la desertificazione e gli eventi meteorologici estremi. Inoltre, hanno accesso a più informazioni sui problemi ambientali proprio grazie a Internet. Tuttavia, la Gen Z è anche vittima del consumismo compulsivo dettato dai grandi marchi fast fashion. Questo perché i giovani sono esposti a una costante pressione per acquistare nuovi prodotti e per seguire le ultime tendenze. Inoltre, sono più propensi a fare acquisti online, dove è più facile essere indotti a comprare cose che non servono.

Il punto è che il salto verso l’economia circolare non riguarda solo la Generazione Z, dobbiamo farlo tutti. Non possiamo sperare che un’unica generazione sia in grado di cambiare il mondo mentre le altre continuano a fare quello che hanno fatto per decadi. Deve essere un lavoro collettivo, in cui ogni individuo ne ispira un altro fino a coinvolgere il maggior numero di persone.

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