Rete ONU, intervista al nuovo Presidente Pietro Luppi
Lo scorso 30 gennaio Rete ONU, l’associazione di categoria degli operatori dell’usato italiani, ha rinnovato il proprio board. Il nuovo Presidente è Pietro Luppi, un nome familiare per i lettori del nostro blog. Co-fondatore di Occhio del Riciclone nel 2003, Luppi continua ancor oggi a dirigerne il Centro di Ricerca, che da qualche anno ha assunto il nome di Osservatorio del Riutilizzo. Nel 2011 ha promosso e coordinato la fondazione di Rete ONU, per la quale ha svolto alternativamente i ruoli di Direttore del Comitato Scientifico, Portavoce e Garante Etico. È entrato a far parte del nuovo direttivo di Rete ONU in quanto rappresentante del comparto degli operatori vulnerabili.
Pietro, sei soddisfatto di questo nuovo ruolo?
Più che soddisfatto sono preoccupato! (ride)
Perché?
Il lavoro da fare è moltissimo: siamo nel bel mezzo di un’epoca di riforme che promettono di cambiare in chiave ecologica il volto dell’intera economia, e in questo scenario la seconda mano potrebbe avere un ruolo molto importante. Gli operatori però devono essere presenti, anzi presenzialisti, in tutti i tavoli, altrimenti il rischio è quello di essere centrifugati dal cambiamento. All’inizio del millennio, con l’applicazione della riforma Bersani sul commercio, l’assenza dai tavoli di concertazione è costata carissima a migliaia di operatori dell’usato, che con l’abolizione degli articoli centoventuno e centoventiquattro del testo unico della pubblica sicurezza sono diventati illegali dalla sera alla mattina. Non possiamo ripetere l’errore. La nostra squadra però è fortissima, e sono sicuro che riusciremo a essere al livello dell’ottimo lavoro fatto finora.
Una delle partite centrali è quella del tessile…
È vero. Io non me ne occupo in modo diretto perché rappresento un comparto, quello dei vulnerabili, che gestisce il tessile in modo accessorio. Come Presidente il mio principale ruolo sarà aiutare i comparti interessati al tessile a dialogare costruttivamente e a trovare delle posizioni che sintetizzino l’interesse di tutti gli operatori. Da questo punto di vista il board è un bel laboratorio, perché tra i soggetti interessati abbiamo gli operatori della raccolta e selezione dei rifiuti tessili, i negozi dell’usato conto terzi, i negozi che fanno compravendita, i grossisti e gli ambulanti: praticamente l’intera filiera. Inoltre, la partecipazione di Rete ONU all’Alleanza Internazionale dei Waste Pickers ci mette in contatto diretto anche con gli ultimi anelli della catena, quelli che si trovano nei paesi che importano i nostri abiti usati.
Parliamo di waste pickers: chi sono?
È il termine usato dall’ONU, dall’OCSE e da altri organismi internazionali per definire gli operatori vulnerabili che, spesso informalmente, lavorano in contatto con le filiere dei rifiuti. In Africa, Asia e America Latina sono soprattutto raccoglitori di strada che rivendono i materiali riciclabili a centri di raccolta privati, o soggetti che rovistano tra i rifiuti nelle discariche con lo stesso fine. In Europa, e anche in Italia, l’attività principale dei waste pickers è raccogliere cose usate e rivenderle nelle strade e nei mercati delle pulci. Rete ONU li chiama semplicemente “operatori dell’usato vulnerabili”, e fin dalla sua fondazione si batte per regolarizzarli riconducendo la loro attività a standard di qualità che azzerino gli impatti ambientali e rendano dignitose le condizioni di lavoro. Non si tratta di “tollerare” l’esistente, ma di migliorarlo, riconoscendo il valore ecologico e sociale del lavoro di queste persone. Non c’è bisogno di chiedere particolari privilegi: i nostri soggetti vulnerabili, normalmente, desiderano solo un quadro normativo che consenta loro di guadagnarsi il pane senza violare le regole.
Qual è la tua relazione con le cooperative?
Sono un pezzo chiave di Rete ONU, fin dal momento della fondazione, e inizialmente sono stato io a fare il principale sforzo per coinvolgerle. Dentro Rete ONU ne abbiamo circa venti, e tra di loro ci sono soggetti storici, che impiegano decine di persone e hanno un fortissimo radicamento territoriale. In passato alcune cooperative sociali, che non fanno parte di Rete ONU, mi hanno criticato perché mi sono schierato contro un sistema specifico di appalti, dove le cooperative erano il buon volto, e primo anello, di brutte filiere. Nella logica del “o con noi o contro di noi” mi hanno messo sotto pressione. Ma la verità è che la stragrande maggioranza delle cooperative sociali è completamente estranea a queste dinamiche.
Cosa pensi dei Centri di Riuso?
All’interno di Rete ONU c’è un dibattito in corso, che dovrebbe portarci presto a trovare una posizione unitaria. Da un lato abbiamo microimprenditori del territorio che portano importanti risultati di riutilizzo ma faticano a sbarcare il lunario e sono vittime di norme e tariffe sfavorevoli, e dall’altro abbiamo cooperative che gestiscono centri di riuso sostenuti dalle PA locali, magari impiegando soggetti svantaggiati e donando beni usati a famiglie che ne hanno bisogno. I microimprenditori, comprensibilmente, segnalano il problema della concorrenza sleale, perché a essere finanziati e sostenuti, molto spesso, sono centri di riuso che cedono le stesse merci agli stessi segmenti di clientela; i centri di riuso dal canto loro desiderano sopravvivere nonostante l’insostenibilità economica intrinseca alla loro attività, e anche questo può essere compreso. Stiamo quindi ragionando su sistemi più efficienti, che sfruttino il potenziale dei centri di riuso in favore di tutto il settore, con l’obiettivo di raggiungere il massimo riutilizzo.
Le prossime sfide?
Valorizzare il lavoro fatto finora, e continuare a spingere perché il settore del riutilizzo italiano sia riconosciuto dalle istituzioni. Quando ero Direttore Scientifico di Rete ONU ho avuto l’incarico di seguire un tavolo tecnico con ISPRA per quantificare i volumi di riutilizzo dei nostri operatori; per mezzo di questo lavoro siamo riusciti a far emergere oltre 230.000 tonnellate annue per il solo comparto del conto terzi. Chi si occupa di ambiente sa perfettamente che si tratta di un risultato molto importante. Ora stiamo lavorando per far emergere anche gli ambulanti, che sono un altro macro-comparto, e successivamente calcoleremo i numeri degli altri comparti. A partire da questo riconoscimento formale della nostra esistenza, e dell’enorme valore ecologico del nostro lavoro, punteremo ad essere più efficaci nel promuovere iter legislativi che riordinino e normalizzino il settore.
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