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De-influencing: un mezzo per promuovere la sostenibilità

Mercoledì 30 Agosto 2023

Ci stiamo forse muovendo verso una maggiore consapevolezza? Sono sempre di più le persone stanche dell’oggettificazione della propria persona, della propria vita e della propria arte. Pare essere più chiaro, anche alle masse, che i social media e i suoi protagonisti sono molto spesso specchietti per le allodole. I social sono nati, negli ormai lontani anni ’70 e ’80, come strumento di connessione tra le persone. E in cosa si sono trasformati negli ultimi decenni? In meri strumenti pubblicitari a cui hanno dato voce gli influencer. Quegli stessi influencer di TikTok, Instagram e YouTube che ora hanno creato il fenomeno del “de-influencing”.

de-influencing

In certe occasioni le conseguenze dell’influencing sono state catastrofiche, da chi ha incoraggiato i disturbi alimentari a chi si è fatto ritrarre nudo su una montagna sacra portando alla chiusura del sito al turismo. Fino a chi ha incentivato il consumismo sfrenato attraverso gli haul video, facendo la fortuna dei marchi di fast fashion. È innegabile il potere di personaggi che hanno creato profili da milioni di follower. L'influencing può essere infatti utilizzato per una varietà di scopi. Viene sfruttato dalle aziende per promuovere i propri prodotti o servizi, dalle organizzazioni non profit per sensibilizzare il pubblico su un determinato tema o da individui per condividere le proprie passioni e le proprie esperienze. Stiamo parlando di un fenomeno complesso che ha sia aspetti negativi che positivi. Da un lato, gli influencer possono essere utilizzati per veicolare disinformazione e propaganda, e per promuovere comportamenti dannosi. Dall’altro però, gli influencer possono essere anche una forza positiva per la società, contribuendo a diffondere informazioni positive e idee, e a promuovere la diversità e l'inclusione. È tempo che i social media tornino a essere un luogo di scambio sano, dove chi ha il dono di saper parlare alle masse, di saper trasmettere, inviti prima di tutto a pensare.

Sui social media sta appunto impazzando il fenomeno del de-influencing, un ribaltamento di tutto ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Per capire il nuovo trend dobbiamo però prima capire la portata di questi strumenti. La paternità del movimento è da attribuire a TikTok, social media che secondo le statistiche è stato scaricato oltre 3,5 miliardi di volte dalla sua nascita. A partire dal 2023 ha registrato 1,1 miliardi di utenti attivi al mese e ogni giorno solo su questa piattaforma vengono visualizzati oltre 1 miliardo di video. Ma l’aspetto più importante è che il 92% degli utenti ha dichiarato di essere stato ispirato ad agire dopo aver visto un video su TikTok e il 65% ha affermato di affidarsi alle recensioni e ai consigli dei creator per orientare i propri acquisti. Basti pensare che l’hashtag #tiktokmademebuyit ha ricevuto oltre 31,8 miliardi di visualizzazioni. Come ogni fenomeno del mondo moderno, questo meccanismo è sfuggito di mano portando i consumatori ad acquistare troppo e troppo velocemente. Ecco perché a gennaio 2023 ha fatto la sua comparsa l’hashtag #deinfluencing.




Quindi, se fino a non molto tempo fa tanti influencer promuovevano prodotti di qualsiasi provenienza e genere con poca trasparenza, oggi stiamo assistendo a una drastica inversione di rotta. I primi episodi di de-influencing sono apparsi negli Stati Uniti, tuttavia il trend si sta rapidamente diffondendo in tutto il mondo. Il de-influencing è un nuovo fenomeno che sta emergendo in risposta ai potenziali rischi associati all'influencing, i rischi che abbiamo citato poco fa. Si tratta di un movimento che promuove una maggiore consapevolezza sulla potenziale pericolosità dell'influencing e incoraggia le persone a pensare criticamente ai contenuti degli influencer.

E chi porta avanti questo movimento? Gli influencer stessi. Non sono rari i casi di pentimento o di raggiungimento di una maggiore consapevolezza anche da parte di chi vive grazie all’influencer marketing. A questo si è arrivati per una serie di ragioni:

  • L'aumento della consapevolezza sui potenziali rischi di contenuti virali, come l’eccessivo consumismo, lo spreco, la disinformazione;
  • La crescita delle piattaforme di social media che hanno reso più facile per le persone connettersi tra loro e condividere informazioni;
  • La diffusione di nuove tecnologie che consentono alle persone di analizzare i contenuti degli influencer in modo più approfondito.

Il de-influencing si basa su una serie di principi tra cui:

  • L'importanza di pensare criticamente ai contenuti degli influencer;
  • La necessità di essere consapevoli dei potenziali rischi dell'influencing o comunque della sua natura di strumento pubblicitario; 
  • La promozione di una maggiore autenticità e trasparenza da parte degli influencer.

A orientarsi verso il de-influencing sono stati i giovani, gli appartenenti alla Generazione Z, quelli che sono nati nativi digitali ma che, allo stesso tempo, stanno vivendo le conseguenze a livello mondiale di comportamenti errati. Sono i giovani che sentono l’urgenza di affrontare in modo informato e democratico le questioni sociali, di ridurre gli sprechi, di alleggerire il pianeta attraverso il riciclo e il riuso, di incentivare l’economia circolare. Sempre secondo le statistiche, più di 41,4 milioni di utenti solo negli Stati Uniti appartengono alla Generazione Z, rispetto ai 37,3 presenti su Instagram. Pare infatti che sia proprio la Gen Z a usare TikTok e Instagram come motori di ricerca piuttosto di Google.

E così si stanno diffondendo sempre più contenuti che disincentivano l’acquisto o l’utilizzo di determinati prodotti, che parlano dei danni generati da cattive abitudini, fino alla promozione di comportamenti sostenibili e del second hand.




Saper raggiungere la mente e il cuore delle persone è un dono. Un dono che non andrebbe sprecato per raccogliere qualche like o l’approvazione di un’azienda che produce cosmetici con ingredienti cancerogeni oppure che vende vestiti confezionati da popolazioni sottopagate che lavorano in assenza di tutele e di norme di sicurezza. De-influencing significa rallentare il desiderio di possedere sempre più oggetti materiali, di acquistare sempre più prodotti nuovi che in realtà non ci servono e che sono la causa dei problemi ambientali presenti e futuri.

È anche vero che molto spesso i video nella categoria #deinfluencing disincentivano l’acquisto di certi prodotti, magari di moda, per promuovere delle alternative. Ci si chiede quindi se non sia semplicemente un modo diverso di fare la stessa cosa. Tuttavia, se ben utilizzato, questo trend può portare i consumatori a farsi maggiori domande, a chiedersi se ciò che stanno acquistando è veramente utile, come viene prodotto, se rispetta l’ambiente. In effetti, le alternative ci sono sempre, a patto di saper scegliere e consigliare quelle giuste. Il de-influencing può incoraggiare le persone a pensare al consumo in modo più critico e a considerare l'acquisto di oggetti di seconda mano come un'alternativa più sostenibile.

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